SALUTO DELL’ AVV. CARLO MARSELLA
Presidente dell’Associazione Giuristi “Marco Tullio Cicerone”
Il benvenuto alle Autorità ed a tutti i convenuti a nome dell’Associazione Giuristi “Marco Tullio Cicerone” e mio personale, un grazie a Mons. Bruno Antonellis per la cordiale ospitalità ed un saluto al rag. Umberto Geremia, Assessore del Comune di Sora, delegato dal Sindaco Dott. Francesco Ganino al quale impegni non previsti gli hanno impedito di essere presente.
Ringrazio il Prof. Paolo Vigo, Magnifico Rettore dell’Università di Cassino, per il costante sostegno che offre alle nostre iniziative.
Saluto e ringrazio per la loro gradita presenza il prof. Francesco Salerno, Preside della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Cassino, l’avv. Luigi Montanelli, presidente dell’Ordine Forense di Cassino, il Dott. Angelo Zinzi in rappresentanza del Notariato che ringrazio anche per la collaborazione offerta nella organizzazione dell’ odierno incontro, i Magistrati , i Notai, i Professori, i Colleghi, i carissimi Soci e tutti i presenti, e, mi si consenta,un grazie particolare al caro amico socio avv. Mario Chiappetta che è venuto da Cosenza e al Dott. Angelo Caputo giunto da Parma! Hanno espresso rammarico per la loro assenza dovuta a precedenti impegni istituzionali il cons. dott. Andrea Della Selva, Presidente del Tribunale di Cassino, l’on. Maria Teresa Formisano, Assessore Regionale , il dott. Bruno Scittarelli Sindaco di Cassino, l’avv. Francesco Scalia Presidente dell’Amministrazione Provinciale e il Consigliere Provinciale rag. Walter Pacifico che mio tramite inviano a tutti i presenti il loro saluto e augurio di buon lavoro.
Un caloroso saluto di benvenuto ed un grazie particolare al Presidente di questo convegno,il Prof. Avv. Giancarlo Scalese - Titolare della Cattedra di Diritto Internazionale nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Cassino ed iscritto nell’Elenco Speciale dell’Albo dell’Ordine Forense di Napoli - che oltre a mettere a nostra disposizione la Sua esperienza ha anche provveduto ad invitare i Relatori di questo incontro che salutiamo e, riconoscenti, ringraziamo: la dott.ssa Mariarosaria Monti, Notaio in Napoli, l’avv. Manfredi Leanza del Foro di Milano, Associato dello Studio Chiomenti.
Un grazie di cuore al dott. Luigi Lotito stimato magistrato del Tribunale di Sora e al dott. Gabriele Sordi suo altrettanto apprezzato Collega e Giudice Coordinatore del nostro Tribunale, ambedue tra i soci fondatori della Associazione Giuristi “Marco Tullio Cicerone”.
Avremo oggi il piacere di ascoltarli entrambi nella trattazione del tema avendo dovuto il dott. Lotito limitare la sua programmata relazione per sopravvenuti, gravosi impegni. In questo Foro, ove siamo avvezzi a vederli collaborare quotidianamente in maniera fruttuosa, la circostanza ci appare del tutto normale.
Non voglio sottrarre ai lavori tempo prezioso ma non posso fare a meno di sottolineare con soddisfazione come la nostra Associazione con questo Convegno completa il programmato ciclo di incontri sulla Globalizzazione: iniziato lo scorso mese di giugno con la Globalizzazione Economica, relatore il dott. prof. Carlo Salvatori - Presidente UniCredito Italiano - , proseguito nello scorso mese di novembre con il prof. Massimo Vari - Vice Presidente Emerito della Corte Costituzionale - sulla Globalizzazione dei Diritti, termina questa sera con l’interessantissimo tema: ”Nuove Problematiche Giuridico-Internazionali per gli Operatori del Diritto”, relatori il prof. Scalese, la dott.ssa Monti, l’avv. Lenza, il dr. Sordi ed il dr. Lotito.
Prima del saluto delle autorità voglio ringraziare quanti ci sono stati e ci sono vicino sostenendo le nostre iniziative: L’Amministrazione Comunale di Sora, l’Università degli Studi di Cassino, il Rotary Club di Frosinone, gli Agenti Generali Assitalia di Sora, l’Amministrazione Provinciale di Frosinone, la Camera di Commercio di Frosinone, la Redazione della rivista “Giuridicamente”, la “Roberto Turriziani s.r.l.” di Frosinone, il Comune di Castelliri, la Banca D’Italia Filiale di Frosinone, la Banca Intesa filiale di Sora, il fraterno Amico Daniele Pisani da Isola del Liri, l’Ordine Forense del Tribunale di Frosinone, il Comune di Alvito, l’Unione Industriale della Provincia di Frosinone e l’Ordine Forense del Tribunale di Cassino: il loro sostegno è stato, è e sarà essenziale per il futuro delle nostre attività. Vi auguro buon lavoro!

SALUTO DEL RAG. UMBERTO GEREMIA
Assessore al Comune di Sora.

Buonasera a tutti. Sono felicissimo di essere con Voi. Ringrazio l’Avv. Marsella e l’Associaizone Giuristi “M.T. Cicerone” apprezzandone l’attività e la particolare attenzione che pongono alle problematiche della globalizzazione, imposta all’attenzione generale dai tragici avvenimenti dell’11 settembre 2002.
Agli illustri Relatori e agli intervenuti tutti porgo il cordiale saluto del Sindaco, del Consiglio, della Giunta e mio personale augurando pieno successo a questo nuovo, importante incontro di studio.

SALUTO DEL DR. ANGELO ZINZI
Notaio.

Desidero ringraziare tutti per essere intervenuti a questo importante incontro, il primo che vede in maniera così numerosa e significativa insigni esponenti del Notariato e dell’Avvocatura .
Con l’auspicio che sia questo il primo di una lunga serie di convegni su temi di comune interesse, esprimo la certezza della sua piena riuscita perché voluto e organizzato da due giuristi di valore eccezionale: l’Avv. Marsella e il prof. Scalese che ho avuto il piacere di raccordare.

SALUTO DELL’AVV. LUIGI MONTANELLI
Presidente Consiglio Ordine Forense di Cassino.

Porto il saluto degli Avvocati del nostro Ordine Forense a Lei Presidente e agli Illustri Relatori.
Condivido la scelta operata dall’Associazione Giuristi “Marco Tullio Cicerone”, perché i temi del Diritto Internazionale e del Diritto dell’Unione Europea sono di estrema attualità per gli operatori del diritto.
Basti pensare alla riforma del 1995, alla incontestabile disapplicazione delle norme interne che siano in contrasto con quelle dell’U.E. e con le decisioni dell’Alta Corte.
Sicchè è necessario “attrezzarsi” nei confronti di tali, ormai quotidiane, novità che entrano nelle aule di giustizia.
Per queste considerazioni l’Università degli Studi di Cassino, attraverso il Preside Salerno ed il Prof. Scalese, ha promosso, in collaborazione con il nostro Consiglio dell’Ordine, un corso di Diritto Internazionale e di Diritto dell’U.E. che inizierà il 2 aprile 2004.
Il convegno di questa sera, tenuto conto degli Illustri Relatori, costituirà un importante contributo di studi e sarà, in maniera assai proficua, prodromico all’imminente corso.
Congratulazioni ancora una volta. Prof. Giancarlo Scalese.
La verità è che queste belle iniziative si possono fare perchè ci sono uomini sensibili ed intelligenti come Luigi Montanelli di cui mi pregio essere amico.

SALUTO DEL PROF. FRANCESCO SALERNO
Preside della Facoltà di Giurisprudenza dell’ Università degli Studi di Cassino.

Buona sera a tutti,
porto il saluto non soltanto del Magnifico Rettore ma della Facoltà Giuridica di Cassino tutta.
Che dire, quando l’Avv. Marsella chiama a raccolta affettuosamente con un invito, ma perentoriamente con un ordine, non ci sottraiamo. Non ci sottraiamo perché è un piacere soprattutto per me a titolo personale venire in questa splendida città, incontrare amici che ormai sono consolidati non solo l’Avv. Marsella, ma il Notaio Zinzi, il Presidente del Consiglio Forense di Cassino con il quale stiamo cominciando una collaborazione fattiva su un corso voluto non solamente dal Consiglio Forense ma anche dalla Facoltà grazie all’opera di Giancarlo Scalese.
Ecco la vera iattura per noi è di avere Giancarlo Scalese in Facoltà perché nel breve arco di tempo che ormai ci è compagno di avventura ha organizzato uno splendido convegno sulla sicurezza dell’Unione Europea, un Corso di formazione per giovani laureati in Diritto dell’Unione Europea, ha tolto studenti a Diritto Romano, materia che io insegno, perché li porta in Tribunale a simulare processi davanti alla Corte di Giustizia, quindi devo dire che se da un lato come Preside sono contento di avere Giancarlo, dall’altro lato come Professore di Diritto Romano e per gli impegni sono meno felice.
Auguro a tutti buon lavoro e Vi ringrazio ancora per avermi invitato e per avere invitato la Facoltà e l’ateneo.

INTRODUZIONE
DEL PRESIDENTE PROF. AVV. GIANCARLO SCALESE.

Ho il piacere di dichiarare ufficialmente aperti i lavori di questa nostra giornata di studio sulle Nuove problematiche giuridico internazionali per gli operatori del diritto. Al fine di comprenderne esattamente lo spirito è anzitutto necessaria una premessa di ordine metodologico. Avrete certamente notato come gli organizzatori, nelle brochure d’invito, abbiano accuratamente evitato termini quali “convegno”, “seminario” o simili ,riferendosi, invece, ad un solo apparentemente più generico “incontro – dibattito”. Non si è trattato, è bene dirlo subito, di una mera incertezza terminologica, quanto piuttosto di una precisa ed accurata scelta, in relazione al tema che andiamo ad affrontare.
Invero, la sua complessità ed articolazione impedirebbe, anche al più consumato tra i giuristi, di pervenire, nelle poche ore a nostra disposizione, ad una soddisfacente soluzione delle gravi problematiche che ci accingiamo ad affrontare; e la squisita sensibilità degli organizzatori ha senza dubbio colto nel segno, dal momento che di interrogativi ne solleveremo molti ma di risposte ne forniremo poche, stante l’esiguità dei tempi in cui è destinata a consumarsi quella che intanto vi preannuncio come una stimolante esperienza che ci prepariamo a vivere, grazie alla qualità del parterre dei relatori che ho l’onore oggi di presiedere.
Del resto, per analizzare in maniera soddisfacente e compiuta tutte le questioni che rappresentano l’oggetto di questo, appunto, incontro-dibattito sarebbe stato necessario, non una mezza giornata di lavori, ma un intero ed articolato ciclo d’interventi, casomai da consumarsi in molteplici sessioni ed in un arco temporale ben più ampio. Ma posso rassicurarvi sul fatto, che così facendo, al di là degli ovvi approfondimenti squisitamente nozionistici, nella sostanza, non si sarebbero raggiunti risultati poi così differenti rispetto a quelli che oggi intendiamo conseguire e che possono sintetizzarsi in una frase: “andare al cuore del problema”.
Sicuramente a questo punto vi starete interrogando sul come si potrà conseguire in così poco tempo uno scopo tanto ambizioso. Mi vedo allora costretto a forzare la mia solita semplicità espositiva, il mio solito carattere pragmatico, ed a suggerirvi una citazione dotta, una di quelle dalle quali normalmente rifuggo. Mi viene in mente in particolare la letteratura decadente inglese degli inizi del ‘900 e nello specifico quei grandi scrittori come Joice e Beckett, che ritenevano il linguaggio formale uno strumenti inadeguato a cogliere l’essenza dell’uomo. Secondo la lezione fornitaci da questi insuperabili maestri, il linguaggio, con le sue rigide regole sintattico-grammaticali, violentando la purezza dei fenomeni psico-fisici, non consentirebbe di percepire la realtà della vita. Cosicché l’unico mezzo a disposizione degli uomini per manifestare la proprie idee e comprendere quelle altrui, sarebbe quello di abbandonarsi ad uno stream of consciousness ossia ad un disorganico flusso di pensieri, al di fuori di qualunque schema prestabilito. Solo così, tra tante idee e messaggi apparentemente slegati tra loro, verrebbe fuori l’essenza e l’anima delle cose.
È quanto allora propongo di fare oggi. Abbandoniamoci ad uno stream of consciusness, nell’affrontare le Nuove problematiche giuridico-internazionali per gli operatori del diritto; parliamone discutiamone, senza avere la pretesa di dire e ricordare tutto quello che c’è da dire e da ricordare in merito, nella certezza che solo in tal modo potremo cogliere l’essenza della problematica in oggetto a dispetto dello scarso tempo a nostra disposizione.
Con ciò ovviamente non voglio eludere il compito che ci è stato affidato da questa benemerita associazione di giuristi “Marco Tullio Cicerone”, trincerandomi dietro un tanto inammissibile, quanto inopportuno non liquet. Ne, tantomeno, voglio indirettamente sminuire lo scopo che si prefigge questo odierno dibattito. Voglio invece soltanto tentare di predisporre le vostre menti al metodo di tipo induttivo che seguiremo nel cimentarci in un compito così arduo come quello di dibattere sulle problematiche, direttamente legate alla conoscenza del diritto internazionale, che gli operatori del diritto incontrano, nello svolgimento del proprio ufficio.
Il che significa che non partiremo da apodittiche dichiarazioni di principio, per poi casomai analizzare una casistica la più completa possibile, ma ci limiteremo a vivere delle esperienze – quella dell’avvocato, del notaio e del giudice – per fotografare con dei penetranti flasch le questioni concrete che si pongono alla loro attenzione, cercando in tal modo di risalire a quel cuore del problema che abbiamo individuato come il vero obiettivo da perseguire qui, insieme, oggi.
Questa tecnica è tutt’altro azzardata se è vero com’è vero che il diritto non è scienza astratta allo stato puro, ne tantomeno è un’arte ad appannaggio di pochi eletti. Non me ne vogliano i cultori del diritto, ma spesso gli studiosi, nella loro opera ermeneutica ricercano soluzioni tanto ardite quanto artefatte e purtroppo scollegate dal contesto sociale in cui vivono, tradendo quell’elementare insegnamento tramandatoci dai padri latini, che con lucida semplicità ci ricordavano che ius est factum. Il diritto altro non è, quindi, che la regolamentazione di determinati rapporti sociali. Pertanto, la sua comprensione ed interpretazione non può prescindere dall’analisi verso il basso dei rapporti che l’ordinamento pretende disciplinare. Capire veramente il diritto è quindi capire l’uomo, i suoi bisogni, le sue aspettative, rispetto alle situazioni che vengono tutelate dall’ordinamento.
Questo basilare assunto vale per tutte le branche del diritto, senza esclusione alcuna, e quindi vale anche, ed innanzitutto, per il diritto internazionale pubblico.
Troppo spesso, invece, rispetto alle problematiche giuridiche internazionali ci si dimentica, specie da parte degli operatori del diritto, di questa semplice verità. Il diritto internazionale viene così rappresentato come una entità astrusa, scollegata dalla realtà di tutti i giorni, o quanto meno lontana da quelli che possono essere i bisogni degli uomini. Non v’è dubbio che il diritto internazionale è per antonomasia il diritto degli Stati; ma non si possono trascurare le talvolta, potenti ricadute che queste norme finiscono con l’avere sui diritti nazionali.
Anzi, va detto che con il definitivo superamento della c.d. concezione diplomatica del diritto internazionale, all’indomani della fine della II guerra mondiale, si assiste sempre più al fenomeno di trattati che attribuiscono ai singoli determinate situazioni giuridiche soggettive attive. Basti pensare agli accordi di natura commerciale o alle sempre più numerose convenzioni sulla tutela internazionale dei diritti dell’uomo, che talvolta istituiscono dei veri e propri meccanismi di tutela giurisdizionale sovranazionale, aperti al ricorso dei singoli; pensate alla C.E.D.U. Ed anche se non è questa la sede per un approfondimento dei rapporti tra diritto internazionale e diritto interno, è bene rammentare che i trattati, una volta recepiti dagli Stati, attraverso i normali meccanismi di adattamento, appaiono in pratica destinati a prevalere su tutte le leggi interne, anche se successive.
Questi fenomeni di condizionamento della realtà giuridica interna da parte di norme di matrice internazionale divengono ancora più evidenti se si volge lo sguardo, poi, al diritto comunitario o, come ormai sembra più corretto dire, dell’Unione europea.
Al di là delle tormentate, note vicende tutt’altro che concluse, legate all’approvazione di un progetto di costituzione europea e delle tanto suggestive, quanto ben lontane dal realizzasi, aspirazioni di tipo federale da parte degli europeisti convinti, non v’è dubbio che, allo stato la CE, si presenta come un’organizzazione internazionale dotata di rilevantissimi poteri, suscettibili d’incidere profondamente sulle sfere giuridiche dei cittadini europei, addirittura bypassando il filtro degli ordinamenti nazionali.
Si parla al riguardo di un’efficacia diretta del diritto comunitario che prevede, ed è importante sottolinearlo, la possibilità per i singoli di rivolgersi al giudice nazionale per chiedere ed ottenere da questi l’immediata tutela delle situazioni giuridiche soggettive attive loro attribuite dalle norme comunitarie.
Ed è ancora più importante ricordare come, in virtù del principio del primato del diritto comunitario sulle legislazioni nazionali, il giudice interno è chiamato ad applicare la legislazione europea con assoluta precedenza rispetto a quella nazionale, disapplicando le disposizioni di quest’ultima che risultassero con la prima incompatibili. Pur senza entrare in tutte quelle questioni squisitamente teoriche, legate all’interpretazione degli aspetti inerenti ai rapporti diritto comunitario - diritto interno, non può non evidenziarsi la dirompenza di questi stessi fenomeni sulle realtà giuridiche nazionali degli Stati membri e, quindi, dell’Italia. Non esiste, infatti, oggi come oggi, branca del diritto interno, dal pubblico al privato, che non sia non toccata o per meglio dire invasa da regolamenti, direttive e decisioni comunitarie.
Ma le possibili intrusioni nell’ordinamento nazionale di dati giuridici rispetto ad esso estrogeni non si limitano a norme internazionali e comunitarie nel senso appena detto, potendo invece altresì riguardare leggi e sentenze di paesi stranieri.
Occorre qui considerare quel particolare fenomeno per cui dinanzi ai giudici di uno Stato possono sorgere questioni che non si esauriscono nell’ambito del relativo ordinamento, trattandosi di questioni contraddistinte da uno o più elementi di estraneità, in quanto presentano punti di contatto con gli ordinamenti di altri Stati, allorché ad es. le parti o una di esse siano straniere, o i fatti o gli atti dedotti in giudizio si siano prodotti all’estero.
Rispetto a simili evenienze si pongono due fondamentali problemi tra loro correlati.
Il primo riguarda la c.d. giurisdizione internazionale del giudice interno: il che consiste nel chiedersi se, come e quando il giudice potrà pronunciarsi sul caso sottoposto alla sua cognizione, nonostante la presenza di un elemento di estraneità, nel senso appena detto.
Il secondo riguarda quali regole si dovranno applicare per disciplinare simili fattispecie caratterizzate da elementi di estraneità.
Tutte le riportate questioni sono oggetto di quella particolare branca del diritto tradizionalmente definita diritto internazionale privato e processuale.
Qui di internazionale in realtà c’è poco se non la transnazionalità dei rapporti che vengono in considerazione.
Al di là di questioni meramente terminologiche, il diritto internazionale privato può definirsi quindi quel complesso di norme di diritto interno destinate a fornire la disciplina di fattispecie caratterizzate da elementi di estraneità, nel senso appena chiarito.
E va sottolineata subito la tecnica tutta particolare che il legislatore utilizza per assicurare una simile disciplina, consistente nell’indicare, o meglio, nel richiamare l’ordinamento con cui la fattispecie è maggiormente connessa e che sarà destinato ad essere applicato. Si usa in tal modo la tecnica del “rinvio” che risponde ad ovvie considerazioni di opportunità pratica. Risulterebbe, infatti, un lavoro assolutamente improbo per il legislatore prevedere una disciplina materiale ad hoc per la regolamentazione di simili fattispecie a causa delle molteplici ed imprevedibili sfaccettature e combinazioni che esse possono in pratica presentare.
Il tutto risulta più chiaro con un semplice esempio. Pensiamo alle successioni mortis causa. Le più differenti potrebbero risultare la nazionalità del de cuius e la localizzazione dei beni oggetto della successione. Ebbene pensate solo per un attimo cosa accadrebbe se il legislatore dovesse stabilire fissare un’apposita disciplina materiale per regolamentare la successione del tedesco, dell’inglese, dello spagnolo, del francese e cosi via, combinando il tutto con la localizzazione dei beni oggetto della successione che può essere il più vario. La soluzione normalmente fornita in materia dai principali sistemi di diritto internazionale privato, compreso l’italiano, è quella di prevedere che si applicherà la legge nazionale del de cuius, con l’ovvia conseguenza che ad es. il giudice italiano potrà essere chiamato ad applicare una legge straniera.
Ma i problemi non finiscono qua potendo risultare opportuno che il giudice italiano nell’esercizio della propria giurisdizione c.d. internazionale tenga conto ad es. di eventuali giudicati pronunciati da un’autorità giurisdizionale straniera, qualora la medesima questione sia già stata oggetto di un processo conclusosi all’estero. E’ questa la soluzione normalmente accolta dai sistemi diritto internazionale privato e processuale che si traduce in buona sostanza in una deroga al principio della territorialità del processo, rispondendo a delle evidenti esigenze di economia dei giudizi ed anche di rispetto della sovranità altrui; sarebbe infatti del tutto illogico che lo Stato pretendesse di vivere come una monade isolata ignorando le decisioni adottate da istanze giurisdizionali straniere.
A questo punto può osservarsi come il n.s. sistema di diritto internazionale privato originariamente regolamentato dalle disp. Prel. al cod. civ. del ‘42 è stato di recente riformato dalla legge 31 maggio 1995, n. 218, che in estrema sintesi ha decretato una decisa apertura verso gli ordinamenti giuridici stranieri, adeguando il diritto italiano ai bisogni di un mercato sempre più internazionale e globale, tenendo altresì conto delle profonde mutazioni sociali che a partire dagli anni ’80 si sono registrate in Italia che da Paese a forte immigrazione si è trasformato in Paese sempre più interessato da consistenti flussi immigratori.
Definitivamente tramontata l’immagine dell’italiano che parte con la valigia di cartone per terre assaje luntane, come recita la canzone napoletana, alla ricerca di lavoro, il nostro legislatore ha approntato delle nuove regole al passo con i tempi e con la mutata realtà sociale. Sintomatico di questo cambiamento è ad es. il minore rilievo che nel vigente sistema viene accordato al criterio di collegamento della nazionalità per la scelta della legge applicabile, in favore ad es. della residenza abituale della persona o della lex voluntatis, cioè dall’autonomia negoziale dei soggetti; basti pensare a quest’ultimo riguardo che oggi le parti di un contratto potrebbero decidere tranquillamente di disciplinare il loro rapporto pattizio ricorrendo alla tecnica del depeçage, cioè ricorrendo contemporaneamente alle legislazioni di differenti paesi e decidere così che una parte delle clausole del contratto ricada sotto la legge italiana, altra sotto la legge tedesca ed altra infine sotto quella francese.
Un’ulteriore segno di questo cambiamento riguarda il meccanismo attraverso il quale i giudicati civili stranieri possono spiegare al propria efficacia nel nostro ordinamento; mentre prima era necessaria un’apposita omologazione attraverso la cd. Procedura di delibazione di competenza della Corte d’appello, adesso viene previsto un meccanismo che, sia pure a determinate condizioni, assicura l’automatico riconoscimento delle sentenze straniere, le quali, in linea di principio, possono liberamente circolare all’interno del nostro Stato con la stessa valenza di un giudicato nazionale.
Ovviamente non c’è tempo per analizzare nel dettaglio di tutti i principali cambiamenti introdotti dalla riforma per ovvie ragioni di tempo.
Ciò che invece mi preme sottolineare è come attraverso essa, le possibilità che gli operatori giuridici si debbano misurare con dati estranei all’ordinamento italiano si sono praticamente moltiplicate. Del resto, recenti stime hanno dimostrato che oggi nel sistema economico italiano circa il 40% di tutte le transazioni commerciali e delle forniture di servizi è stipulato con una parte straniera, in veste di fornitore od acquirente. Il che significa che almeno un’operazione commerciale su quattro ha come controparte una persona o un’impresa non residente in Italia.
Purtroppo a questi grandi cambiamenti che si sono registrati nel sistema economico-giuridico italiano non ha fatto seguito quel doveroso aggiornamento che sarebbe stato lecito attendersi dai nostri operatori del diritto. Si è anzi registrato, nella maggior parte dei casi, un atteggiamento a dir poco reazionario, con una decisa chiusura verso tutto ciò che è straniero ed internazionale, propugnandosi una discutibile visione autarchica del diritto con la conseguenza che troppo spesso avvocati, giudici e notai si ostinano a trascurare l’esistenza di trattati, atti comunitari o leggi straniere, con ovvie ricadute negative nei confronti degli sprovveduti cittadini. Il che da un punto di vista processuale può comportare una vera e propria violazione del diritto alla difesa.
Ovviamente non posso fare di tutta l’erba un fascio. È scontato che il problema ad es. non riguarda quegli eccellenti studi per la trattazione di affari legali internazionali, come quello rappresentato dall’avv. Manfredi Leanza, che normalmente assicurano ai grandi gruppi industriali e finanziari una capillare assistenza in questo ambito o che del pari non riguarda i più attenti e colti trai notai e magistrati.
Ma tutto ciò non lenisce il mio grido di dolore perché proprio l’esistenza di queste raffinate élite, mi conferma che di regola per i cittadini e, cosa ancor più grave, per coloro che dovrebbero difendere i loro interessi, il diritto internazionale in tutte le sue sfaccettature è e rimane un arcano.
Non chiedetemi di spiegarvi le ragioni di tutto ciò. Mi limiterò a dirvi per par condicio che una buona dose di responsabilità va ascritta alle stesse metodologie di formazione universitaria e post-universitaria imperanti nel nostro Paese, che non riescono normalmente fornire un’adeguata preparazione al riguardo. Così i nostri cultori del diritto finiscono con l’essere prigionieri del più bieco bizantinismo giuridico, chiudendosi a riccio nelle loro visioni nazionaliste del diritto, tradendo l’eredità lasciataci dai nostri padri latini che avevano escogitato quell’eccellente strumento per l’amministrazione della giustizia nelle province più lontane di Roma, rappresentato dal praetor peregrinus, la cui esperienza avrebbe costituito la prima vera forma di giurisdizione internazionale da parte di un giudice interno in un sistema globale ante-litteram: l’impero.
Cosciente a questo punto di aver veramente debordato i compiti della mia odierna presidenza e scusandomi per il prezioso tempo sottratto ai relatori dai quali certamente potremo ascoltare ben più interessanti riflessioni, cedo la parola all’avv. Manfredi Leanza, abbandonandoci finalmente a quello stream of consciousness che vi avevo in apertura promesso, grazie.

RELAZIONE AVV. MANFREDI LEANZA.
La riforma del diritto delle società di capitali e cooperative: problematiche internazionalprivatistiche e comunitarie

Introduzione:
Le brevi riflessioni che seguono hanno ad oggetto taluni profili internazionalprivatistici e comunitari della riforma delle società di capitali e cooperative approvata con d.lgs. n. 6/03, entrata in vigore, dopo un anno di vacatio legis, il primo gennaio scorso.
Vedremo come siano state sostanzialmente disattese le indicazioni date dal legislatore delegante in merito ai profili di applicazione ed efficacia transnazionali delle norme della riforma, non senza però prima aver passato velocemente in rassegna le principali novità dalla stessa introdotte.
Analizzeremo quindi talune problematiche applicative delle disposizioni del nuovo Capo XI del Titolo V del Libro V del codice civile, e di alcune altre disposizioni della riforma in oggetto che sembrano porsi in contrasto con la normativa comunitaria.
1. Le finalità della riforma e principali implementazioni
Semplificazione della disciplina delle società di capitali
Introduzione di un sistema articolato in modelli più flessibili rispetto ai tipi: modularità dei tipi,
in modo tale da non irrigidire il rapporto tra schemi tecnico giuridici e modelli di impresa economica, superando la distinzione tra società aperte e chiuse, società quotate e non. Viene riconosciuta la società per azioni unipersonale (con responsabilità limitata).
Questo processo di arricchimento e gradazione dei modelli societari è ulteriormente confermato e favorito dalla previsione di un’ampia autonomia statutaria che viene valorizzata attraverso l’introduzione di nuovi strumenti finanziari, possibilità di tenere l’assemblea attraverso mezzi di telecomunicazione, possibile previsione statutaria di maggioranze qualificate (minoranze di blocco) in tutte le materie ad esclusione dell’approvazione del bilancio, sistemi di governance diversi: sistemi alternativi di gestione (sistemi tradizionale, dualistico tedesco, monistico anglosassone), in coerenza con la possibilità di scelta offerta dal regolamento CE 2157/2001 sulla Società europea.
Radicali le modifiche che hanno riguardato la disciplina delle società a responsabilità limitata. Da piccola società di capitali a società di persone a responsabilità limitata, diventando in tal modo il modello societario presumibilmente prescelto dalle piccole-medie imprese.
Poteri di rappresentanza degli amministratori: la nuova disciplina ricalca la normativa comunitaria in materia, unificando le ipotesi di opponibilità per eccesso rispetto ai limiti statutari e per estraneità all’oggetto sociale e si equiparano le limitazioni statutarie a quelle derivanti da delibere degli organi competenti.
Spostamento della tutela dei soci dal piano reale al piano obbligatorio.
Introduzione della disciplina dei gruppi.
Il tutto, inter alia, per favorire l’accesso ai mercati finanziari da parte delle società non quotate o con titoli non diffusi presso il pubblico. Le società per azioni possono ora dotarsi di strumenti finanziari compositi e diversificati: viene superato il binomio tradizionale tra azioni ed obbligazioni, attraverso l’introduzione di numerose tipologie di azioni, che consentono molteplici qualificazioni della partecipazione dell’azionista alla vita sociale: azioni con diritto di voto limitato, azioni con voto limitato a specifici settori di attività sociale, azioni con diritto di voto subordinato, strumenti finanziari senza diritto di voto per i dipendenti, strumenti finanziari relativi al conferimento di opere e servizi; ma soprattutto la possibilità di emettere delle azioni prive di valore nominale “di tipo europeo”. Il valore di tali azioni si ricava indirettamente dividendo il capitale sociale per il numero di azioni, agevolando in tal modo le operazioni sul capitale che determinerebbero l’incombenza di dover annullare i vecchi titoli. Possibilità di emettere per la società a responsabilità limitata titoli di debito da sottoscrivere da parte di investitori qualificati.
Estensione del diritto di recesso per i soci della società a responsabilità limitata: il nuovo articolo 2347 prevede le ipotesi in cui il diritto di recesso deve essere inderogabilmente previsto: mutamento dell’oggetto sociale, trasferimento della sede principale all’estero, trasformazione della società, fusione e scissione, compimento di attività che determinano una sostanziale modificazione dell’oggetto sociale; il socio può sempre recedere se la società è a tempo indeterminato; lo statuto può prevedere ulteriori ipotesi di recesso e non si vedono limiti a tali previsioni; in caso di esercizio, il socio che recede ha diritto a vedersi rimborsato il valore della partecipazione dimessa entro sei mesi, attraverso la vendita della sua quota agli altri soci, a terzi ovvero attraverso l’utilizzo di riserve o la riduzione del capitale sociale. Se ciò non è possibile, si procede alla liquidazione della società.
Ma vediamo, per quanto qui ci interessa, quali sono i richiami operati dal legislatore delegante ai profili di diritto internazionale privato e di diritto comunitario.
2. Richiami all’ambito transnazionale contenuti nella legge delega 366/2001
Art. 1, comma 2 necessità che la riforma sia attuata nel rispetto e in coerenza con la normativa comunitaria
Art. 2, comma 1 lett (a) che essa sia tale da favorire l’accesso delle imprese italiane ai mercati internazionali di capitali
Art. 2, comma 1 lett (c) che essa semplifichi la disciplina delle società tenuto conto delle esigenze delle imprese nel mercato concorrenziale, espressione questa che non può non essere intesa come riferita al mercato quanto meno comunitario se non internazionaleLa presenza di tali richiami imponeva al legislatore delegato, nell’ambito di una riforma così vasta e radicale, di tener in conto della collocazione delle società nazionali in un contesto più ampio e, quindi, di prevedere fattispecie ed effetti che non trascurassero gli aspetti “esterni” all’ordinamento nazionale.
Al contrario, il legislatore delegato sembra aver profondamente trascurato le implicazioni comunitarie ed, in genere, transnazionali delle disposizioni adottate e questo quando invece, dal punto di vista comparatistico, il decreto in commento è attento alle esperienze maturate negli altri ordinamenti europei, tenuto conto che molte soluzioni adottate riprendono scelte effettuate dai legislatori stranieri. Proprio alla luce di tale critica, vanno lette le vicende relative alle questioni pregiudiziali ex articolo 234 TUE in tema di compatibilità con il diritto comunitario in relazione a talune disposizioni del d.lgs. n. 61/02 (falso in bilancio contrarietà alla IV e VII direttiva).
In particolare per quanto riguarda più direttamente il rispetto delle disposizioni dell’ordinamento comunitario, mentre il legislatore sembra aver tenuto in debito conto le direttive di armonizzazione ex art. 44 TCE (con le seguenti eccezioni secondo parte della dottrina (Portale) (I) articolo 2464 possibilità di sottoscrivere il capitale sociale attraverso polizze fideiussorie o fideiussioni bancarie contro art. 8 II direttiva (II) art. 2346, commi 4 e 5 contro articolo 8 II direttiva (III) articolo 2357-ter, comma 2, e 2357-quater, comma 1 contro art. 8.1 II direttiva (IV) articolo 2506.1 contro VI direttiva (V) articolo 2504-bis contro III direttiva) sembra aver trascurato le norme di diritto primario comunitario (ossia le disposizioni del Trattato di Roma) che alla luce di recenti interpretazioni della CGCE condizionano fortemente la discrezionalità normativa di cui godono gli Stati Membri.
3. Temi
Art. 2507 ed art. 25 l.n. 218/95 – Diritto di stabilimento
Passando all’analisi delle singole disposizioni che qui rilevano, il nuovo capo XI contiene le disposizioni applicabili alle società estere che operano in Italia; diversamente dal precedente Capo IX (da questo sostituito) è venuto meno il riferimento alle società italiane operanti all’estero, alle quali pertanto non si applicheranno le disposizioni in questione.
In materia, l’articolo 25 della l.n. 218/95 di riforma del diritto internazionale privato, aveva introdotto importanti novità rispetto alle disposizioni previgenti (abrogazione degli artt. 2505 e 2509), stabilendo il principio del riconoscimento da parte del nostro ordinamento delle società e degli altri enti costituiti all’estero e dell’applicazione a questi delle norme dell’ordinamento giuridico in cui si è perfezionato il procedimento di costituzione della società, con il solo limite della sottoposizione alle norme italiane se la sede amministrativa ovvero l’oggetto principale della società sono localizzati in Italia (sancendo il c.d principio di continuità della persona giuridica).
Secondo l’orientamento interpretativo dominante, il diritto dello stato di incorporazione della società estera disciplina tutte le vicende che riguardano quest’ultima (la cd lex societatis), venendo però affiancato dalle disposizioni di diritto interno di natura imperativa ed applicazione necessaria (la cui rilevanza ai fini della tutele degli interessi pubblici preminenti dell’ordinamento deve essere valutata caso per caso) ovvero di ordine pubblico (che impediranno l’applicazione di quelle disposizioni del diritto straniero che contrastino con i principi impregiudicabili dell’ordinamento giuridico italiano). La soluzione del possibile conflitto di tali norme con il diritto straniero (nel senso della disapplicazione di quest’ultimo), deve in ogni caso essere effettuata restrittivamente. Ma quali sono le
disposizioni di che possono impedire l’applicazione della lex societatis straniera; solo per citarne alcune, sono le disposizioni di diritto interno che prevedono (I) l’obbligatorietà (e l’idoneità) del conferimento effettuato da parte di ciascun socio (II) la partecipazione di tutti soci agli utili ed alle perdite della società (III) la liceità dell’oggetto sociale (IV) il versamento dei tre decimi e l’integrale sottoscrizione del capitale sociale.
Nel quadro dettato dalla riforma del diritto internazionale privato appena abbozzato, la principale novità introdotta dalla riforma del diritto societario appare, quanto meno dal punto di vista interpretativo, il testo nuovo articolo 2507 che dispone che “l’interpretazione ed applicazione delle disposizioni contenute nel presente capo è effettuata in base ai principi dell’ordinamento delle Comunità europee”.
Il riferimento alle Comunità europee appare quanto meno inopportuno (la CECA è stata sciolta, l’Euratom è da anni agonizzante ed in ogni caso non ha competenze in materia societaria; sarebbe stato più opportuno il riferimento alla UE dinamica)
Generico riferimento alle società estere (e non comunitarie); interpretazione massimalista che porterebbe irragionevolmente all’estensione (attraverso il riconoscimento operato dal 2507) nei confronti di società non UE dei principi dell’ordinamento comunitario, ma va esclusa perché non c’è traccia di una tale volontà normativa nelle disposizioni della legge delega; certo è che per impedire la tendenza universalistica del legislatore (e dell’interprete) nazionale ad ampliare l’ambito di applicazione soggettiva delle soluzioni internazionalprivatistiche raggiunte nell’ambito dell’ordinamento comunitario (come avvenuto, ad esempio, per il caso dell’articolo 3.2 della l.n. 218/95 che ha esteso il criterio di ripartizione tra giurisdizione commerciale e civile previsto dalla Convenzione di Bruxelles del 1968, oggi sostituita dal reg. 44/2001 CE, anche a convenuti non domiciliati in uno Stato UE) sarebbe stata opportuna una maggiore attenzione; non si capisce poi per quale motivo dovremmo riconoscere, in assenza di reciprocità, dei vantaggi a delle società straniere extra UE proprio quando svolgono sul nostro territorio la loro attività.
La disposizione dovrà pertanto preferibilmente intendersi applicabile dal punto di vista soggettivo alle sole società UE che operano in Italia; adottando questa interpretazione minimalista, risulta, peraltro, una disposizione pedagogica e narrativa di scarsa utilità per l’interprete, anzi fuorviante perché non solo pleonastica ma anche focalizzata su un aspetto molto specifico (quello dell’applicazione delle disposizioni relative alle società costituite all’estero), mentre il rispetto dei principi comunitari è fondamento interpretativo di tutte le norme di diritto interno, essendo come noto, il giudice tenuto alla disapplicazione diretta di quelle norme di diritto interno che contrastino con i principi di diritto comunitario.
Ma proprio questo incoerente, se non inopportuno, riferimento al rispetto dei principi del diritto comunitario ha avuto il pregio di catalizzare l’attenzione della migliore dottrina sui problemi applicativi delle nuove disposizioni del Capo XI in relazione al menzionato articolo 25 riforma del diritto internazionale privato, ed in particolare rispetto alla recente giurisprudenza comunitaria in materia di libertà di stabilimento.
Cornice comunitaria
Libertà di stabilimento: il Trattato di Roma dispone che le persone fisiche e giuridiche di uno stato membro hanno il diritto di stabilirsi in un altro stato membro per esercitarvi un’attività economica alle stesse condizioni ivi previste per i propri cittadini, in applicazione dei principi di parità di trattamento e di mutuo riconoscimento (artt. 43 e 48 TCE).
Sono previste due forme di stabilimento, stabilimento primario attraverso l’accesso diretto alle attività economiche mediante il trasferimento della sede sociale e della direzione, ovvero, (secondo la CGCE) mediante la partecipazione al capitale sociale di società di un altro stato membro. Stabilimento secondario attraverso la costituzione di agenzie, succursali, sedi secondarie e filiali in uno stato membro diverso da quello in cui sono posti la sede sociale, l’amministrazione centrale o il centro di attività principale.
Questo sistema, nello spirito originario del Trattato, si sarebbe dovuto accompagnare ad un riconoscimento reciproco delle società attraverso apposite convenzioni internazionali di diritto uniforme (ex art. 293 CE, orami devitalizzato, come vedremo, alla luce della interpretazione della CGCE), ma la convenzione sul riconoscimento delle società e delle persone giuridiche sottoscritta nel 1968 non è mai entrata in vigore.
Abbiamo detto che ben avrebbe fatto il legislatore delegato a coordinare l’ambito di applicazione delle disposizioni della riforma con i recenti pronunciamenti della CGCE. In effetti, in materia di società la CGCE ha a partire dalla metà degli anni ottanta precisato via via in modo sempre più dettagliato, gli obblighi degli stati membri in materia di riconoscimento delle società straniere e dettato i limiti di applicazioni a queste ultime delle norme nazionali.
Tra le pronunce della CGCE, assume particolare importanza la sentenza Centros (marzo 1999) (dal nome della società costituita in Inghilterra da due coniugi danesi per lo svolgimento di attività in via esclusiva in Danimarca) mediante la quale la Corte ha avuto modo di riconoscere (ma in realtà di confermare quanto già sancito nella sentenza Segers (1986)), ai cittadini privati, in quanto beneficiari della libertà di stabilimento, il diritto di scegliere fra le leggi societarie degli Stati Membri, quella ritenuta più idonea per la costituzione di un ente collettivo in vista dello svolgimento di attività imprenditoriali sul mercato unico, precisando che:
questo diritto configura una situazione di vantaggio direttamente efficace, e quindi azionabile di fronte ai giudici nazionali, perché inerente all’esercizio di una delle libertà fondamentali del Trattato;
esso sussiste anche qualora la società svolga tutte le sue attività in uno Stato Membro diverso da quello della lex socioetatis prescelta, e non abbia con lo Stato Membro di incorporazione altri contatti se non appunto la optio legis operata al momento della costituzione della società;
uno Stato Membro può ostacolare il pieno godimento di tale diritto solo in via eccezionale, quando cioè possa vantare un’esigenza imperativa alla tutela dei propri preminenti interessi pubblicistici e solo nel rispetto dei seguenti principi:
che l’interesse pubblico perseguito sia meritevole di tutela;
che la misura normativa non dia vita a discriminazioni (anche indirette o di fatto) in base alla nazionalità;
che essa sia effettivamente utile rispetto alla finalità che si persegue;
che sia necessaria, nel senso che non devono esistere misure diverse parimenti efficaci ma meno lesive della libertà di stabilimento; e
che vi sia proporzione, nel senso che il danno derivante dalla limitazione della libertà comunitaria non sia eccessivo rispetto al vantaggio dello Stato Membro in relazione alla tutela dell’interesse pubblicistico in questione.
Tali principi sono stati ulteriormente confermati dalla CGCE nella successiva sentenza Uberseering (novembre 2002) e nella ancor più recente sentenza Inspire Art (settembre 2003).Da un punto di vista di politica del diritto questi principi sanciscono in ambito comunitario, da un lato, (a) il cd mercato delle regole che pone i diritti societari nazionali in concorrenza fra loro e, dall’altro, (b) che il riconoscimento (e la tutela) di tali libertà non è semplicemente ammesso dall’ordinamento comunitario, ma favorito in quanto funzionale al raggiungimento dei propri obiettivi di integrazione.
Ovviamente, la libertà in parola non sarà riconosciuta qualora si accerti l’esistenza di un intento fraudolento o abusivo di ricorso al diritto societario di un determinato stato, per sottrarsi all’applicazione delle norme dell’ordinamento giuridico nel quale si intende svolgere l’attività imprenditoriale. L’intento fraudolento per essere riconosciuto deve essere provato però in modo rigoroso (un tipico esempio di comportamento fraudolento è quello posto in essere al fine di evitare l’applicazione di norme imperative e di ordine pubblico che disciplinano lo svolgimento di determinate attività in uno stato).
Questa la cornice comunitaria, il diritto interno non poteva e non può non esserne inciso nella portata delle disposizioni di diritto internazionale privato. In particolare, alla luce di quanto precede e dovendosi intendere definitivamente tramontata la c.d. “teoria della sede” (che postulava l’applicazione alla società del diritto dello stato nel quale questa aveva la sede principale), l’ultima frase del primo comma dell’articolo 25 che dispone l’applicazione della legge italiana alle società straniere che abbiano in Italia la sede amministrativa ovvero l’oggetto principale delle proprie attività, deve intendersi inapplicabile alle società costituite in un paese Membro UE.
Ma anche le altre disposizioni del nuovo Capo XI non possono non essere lette alla luce dei principi generali che tutelano la libertà di stabilimento e vietano agli stati membri di sottoporre le società straniere (UE) stabilite sul proprio territorio oneri ed obblighi che si risolvano in una duplicazione di quelli cui sono già sottoposte ai sensi dell’ordinamento di incorporazione.E’ questo il caso del terzo comma del 2508 in base al quale le società estere con sede secondaria in Italia devono sottostare ad alcune regole relative all’esercizio d’impresa, quali quelle in tema di scritture contabili, rapporti di lavoro, rappresentanza, necessità di autorizzazioni amministrative per svolgere determinate attività (mentre le altre disposizioni dell’articolo in questione sono trasposizione della XI direttiva).
Secondo una certa dottrina esistono seri dubbi di applicabilità dell’articolo 2509-bis alle società comunitarie costituite in altro paese membro per il mancato rispetto delle formalità previste dagli artt. 2508 e 2509.
Infatti nella citata sentenza Inspire Act , la CGCE richiamando l’articolo 10 del Trattato, ha affermato che gli Stati Membri non possono sanzionare le violazioni delle norme comunitarie con provvedimenti diversi da quelli previsti per violazioni comparabili del diritto interno. Fermo restando che tale valutazione spetta al giudice nazionale, è assai dubbio che possa applicarsi nel caso de quo la medesima sanzione (responsabilità illimitata) prevista per il caso di mancato perfezionamento del processo costitutivo della società previsto dall’articolo 2331.2, in quanto la succursale operante sul territorio nazionale ripete la personalità giuridica riconosciuta alla società dall’ordinamento di incorporazione, avendo la pubblicità prevista agli articoli 2508 e 2509 solo funzione informativa
4. Ulteriori disposizioni in conflitto con il diritto comunitario
Come accennato, non mancano disposizioni della riforma che evidenziano un importante di scostamento anche dalla disciplina derivata di diritto comunitario.
2357-ter, comma 2, e 2357-quater, comma 1 contro art. 8.1 II direttiva
Ci riferiamo in primis alla facoltà data all’assemblea della società, in particolari circostanze, di autorizzare l’esercizio (totale o parziale) del diritto di opzione in relazione azioni proprie, riconosciuto dall’articolo 2357-ter comma 2 e fatto salvo dal comma 1 dell’articolo 2357-quater. Come giustamente rilevato da Portale, la disposizione in oggetto contrasta con il disposto del primo comma dell’articolo 18 della II Direttiva in materia societaria (77/91/CEE) che vieta tout cour la sottoscrizione di azioni proprie senza ammettere eccezioni.
2464 possibilità di sottoscrivere il capitale sociale attraverso polizze fideiussorie o fideiussioni bancarie contro art. 8 II direttiva
Per quanto concerne la disciplina dei conferimenti per le società a responsabilità limitata, la riforma introduce ampia libertà in materia, ponendo come unico limite, la suscettibilità di una valutazione economica. Si potranno quindi avere società a responsabilità limitata, il cui capitale sia costituito esclusivamente da conferimenti atipici o addirittura da conferimenti di opere e servizi (sostituiti eventualmente da polizze fideiussorie e fideiussioni bancarie che ne garantiscano la corretta esecuzione; si semplifica la procedura di stima del conferimento di beni in natura e di crediti prevedendo la nomina dell’esperto da parte della società anziché da parte del presidente del tribunale.
Sennonché, il contrasto con i principi di cui all’articolo 7 della II Direttiva delle disposizioni in parola (che equiparano la prestazione di una polizza fideiussoria e o di una fideiussione bancaria alla sottoscrizione del capitale sociale), appare di tutta evidenza, con oltretutto, come giustamente rilevato da Carbone, i rilevanti problemi di adeguamento dei criteri di redazione di bilancio e di effettivo enforcement della garanzia, essendo ben nota la facilità di ottenere dei provvedimenti inibitori.Intervento del Prof. SCALESE Ringrazio l’Avv. Leanza . Ci ha fornito un saggio di bravura. In così poco tempo è riuscito a tendere le trame di una vicenda complessa e mi vengono in mente due riflessioni: la prima è che le leggi ci sono “ma chi pon mano ad esse?” diceva il poeta; la seconda è che se devo leggere la sua relazione con gli occhi del decadente inglese, non decadente ancora dal punto di vista fisico, sia beninteso, mi riferisco ad aspetti poetici, a quello stream of consciences,viene sempre fuori questo problema di coordinamento, di interpretazione fra Diritto Interno, Diritto Internazionale Privato, Diritto Comunitario, che aleggia come un fantasma e agita i sogni degli operatori del Diritto sul fatto che il Legislatore impunemente possa ancora oggi trascurare l’esistenza e il contenuto del Diritto dell’Unione Europea, come preferisce dire l’Avv. Lenza. Io non esito, invece,a parlare di Diritto delle Comunità Europee, ma è solo una differenza, ...preciso è milanese, ...io sono napoletano, singolare, plurale, sapete le doppie, i raddoppi con le vocali, con consonanti, si fanno cose di pazzi quando si parla in napoletano, perciò mia moglie mi preclude sempre l’utilizzo della mia lingua natia. E’ male, male.
Ecco, dicevo, riflettete sul fatto che se noi accedessimo al modello concettuale suggerito dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee, come poi sarebbe giusto fare, ebbene dovremmo arrivare a configurare il sistema dei rapporti Diritto Interno-Diritto dell’Unione Europea come un sistema nel quale le norme comunitarie del Diritto dell’Unione Europea, faccio contento lui, sopravanzano su tutte le norme interne e questo già lo abbiamo detto, ma perchè? Perchè secondo la Corte di Giustizia sarebbero da considerarsi gerarchicamente sovraordinate alle norme interne a qualunque livello considerate, comprese quelle costituzionali. In pratica il Diritto dell’Unione Europea, mettetevelo in testa, sta sopra tutto il Diritto Interno , anche le costituzioni. E le Corti Supreme, le Corti Costituzionali continuano a dire: si, va bene, noi accettiamo quest’idea ma fino ad un certo punto. Pensate che la Nostra Corte Costituzionale per giustificare questa prevalenza del Diritto Comunitario sul Diritto Interno è ricorsa ad un escamotage e ha detto: in buona sostanza la prevalenza della norma comunitaria su quella interna non è una prevalenza formale ma è una prevalenza di fatto, pratica, perchè? Quando il Giudice Interno è chiamato ad applicare la norma comunitaria opera, vedete l’escamotage, secondo la nostra Corte Costituzionale, un organo decentrato della comunità per cui è come se guardasse, avesse come punti di riferimento, soltanto la normativa comunitaria. Ecco perchè potrebbe facilmente ed agevolmente disapplicare le norme interne contrastanti con la normativa comunitaria. Per carità, è una soluzione brillantissima, è una soluzione che risolve anche tanti problemi teorici, perchè se noi guardassimo al problema della prevalenza, imbevuti di concezioni giuridiche interne tipiche di un ordinamento come quello italiano, più bizantino che latino ormai, dovremmo pensare che se noi consideriamo la norma comunitaria superiore alla norma costituzionale e alla legge interna, in caso di contrasto tra legge interna e norma comunitaria superiore alla costituzione, beh sorgerebbe una sorta di questione di legittimità costituzionale, ma se così fosse, si rischierebbe la paralisi del sistema perchè il Giudice Interno non potrebbe più automaticamente applicare la norma comunitaria, dovrebbe far rimbalzare questo giudizio ad una magistratura superiore, ad una magistratura costituzionale o sovranazionale e quindi il sistema si bloccherebbe. Certamente si tratta di una soluzione brillante, però è anche vero che,forse, qualche accomodamento in più io lo avrei fatto perchè, vedete, anche da un punto di vista psicologico - e ormai avete capito che io sono un amante della letteratura e della psicologia- dire esiste una norma comunitaria che gerarchicamente è sovraordinata alla norma interna, può certamente condizionare l’operato non solo dell’avvocato, del magistrato e del notaio, ma anche dello stesso legislatore.Io sono uno di quelli che crede molto nel fatto che si approvi una costituzione europea anche se poi, formalmente, non cambia niente, anche se poi essa è e rimane un trattato. La Costituzione Europea è, infatti, un trattato; ma che si usi la parola Costituzione mi sembra un buon risultato perchè predispone le menti a certi cambiamenti che, in fondo, auspichiamo. Non posso dimenticare che da quando sono sposato “ho moglie e figli”, ahimè, non viaggiamo più. Una volta,però, si viaggiava. Abbiamo viaggiato, bene o male, liberamente e in tutta Europa,né posso dimenticare i racconti di guerra dei miei genitori.Pensate che grandi cambiamenti nella Comunità Europea: una cinquantina di anni fa ci si scannava, una cinquantina di anni fa Cassino era stata rasa al suolo, il che mi duole perchè mi sento un cassinate adottivo; oggi esiste l’Europa Unita e vale la pena di continuare a lavorare a questo progetto. Non facciamoci fuorviare da quei discorsi: “si, ma con l’Euro la vita è diventata più cara, è colpa dell’Euro”. No signori,la colpa è stata dei commercianti, e alla lunga l’Euro ci ripagherà perchè riuscirà a mantenere una certa stabilità nell’ambito di quel patto di stabilità di cui sentiamo sempre parlare i Telegiornali. Voglio dire un’ultima cosa, e l’amico Manfredi ne dà conferma, una cosa che ripeteva sempre mio nonno avvocato. Citando il grande Calamandrei, ricordava: “Prego affinchè gli avvocati facciano i professori universitari per essere un pò più dotti, ma prego anche affinchè i professori universitari facciano gli avvocati per essere un pò più intelligenti”.
E adesso interverrà un’altra amica, la Notaia Mariarosaria Monti a cui cedo la parola e finalmente sentiremo il punto di vista dei notai perchè mi sembra che fino ad ora gli avvocati abbiano fatto la parte dei leoni. C’è l’amico Angelo Zinzi che mi guarda in modo quasi minaccioso anche perchè mi ha promesso che c’erano molti notai in sala ed io... avrei quasi la tentazione di fargli alzare la mano.

Dr. MARIAROSARIA MONTI
Notaio.

Attività notarile e nuovo diritto internazionale privato
La crescita esponenziale del fenomeno della globalizzazione comporta, sempre più di frequente, la necessità di risolvere una serie di problematiche di diritto internazionale privato,che si presentano a noi Notai nell'esercizio della nostra funzione. L'apertura degli ordinamenti nazionali verso l'esterno e quindi anche dello Stato Italiano, impone la necessità di adeguare gli strumenti dell'attività notarile alle nuove esigenze di una società multietnica ed in perenne movimento, allo scopo di rendere i nostri strumenti idonei a regolare situazioni concrete sempre più diversificate.
Sul piano internazionale il Notaio può essere definito come un professionista "a territorialità limitata",per noi, infatti, è molto stretto il legame sia al Distretto Notarile di appartenenza, che alla Repubblica Italiana, unico luogo (del mondo) in cui possiamo svolgere le nostre funzioni. Ciò nonostante, la realtà quotidiana ci fornisce di una "extraterritorialità illimitata" in quanto gli atti che redigiamo sono, per loro natura, destinati alla circolazione e, sempre più spesso, devono travalicare i confini della Repubblica.
Il Notaio può essere chiamato a prestare il suo ministero da cittadini stranieri,da cittadini italiani residenti all'estero o da cittadini italiani che intendono svolgere un'attività all'estero;in ognuno di questi casi occorre indagare la volontà delle parti e, in relazione alle esigenze prospettate, fornire una soluzione che assicuri: a) innanzitutto il rispetto della legge nazionale e della legge notarile; b) il soddisfacimento degli interessi dei richiedenti; c) il conseguimento degli effetti dell'atto rogato nel paese di destinazione.
L'ordinamento italiano ci affida un compito di grande responsabilità, accanto alla corretta interpretazione della volontà negoziale delle parti, dobbiamo esercitare un'attività di controllo della legalità dell'atto che viene posto in essere, in tutti i fattori di cui esso è composto, a partire dall'esame della capacità dei soggetti del rapporto giuridico, fino all'accertamento del totale rispetto dei requisiti di forma e di sostanza.
Il primo problema che si incontra è dato dalla difficoltà di reperimento delle fonti di cognizione del diritto straniero, nonchè dalla necessità di individuare i canoni ermeneutici che consentano l'interpretazione delle norme da esaminare.
La difficoltà di conoscenza del diritto straniero è un problema di carattere generale che si pone a qualsiasi operatore giuridico, in quanto la norma esterna, una volta richiamata e recepita nel nostro ordinamento è obbligatoria ed inderogabile per tutti, siano essi parti, avvocati, giudici o notai.
La legge 31 maggio 1995 n. 218 ha, indubbiamente, disciplinato in maniera organica il diritto internazionale privato,ma ha dedicato una attenzione solo marginale alla soluzione di problemi "tipicamente notarili".
Infatti, in relazione al criterio della conoscenza della legge straniera applicabile, l'art. 14 della legge 218/95, non discostandosi dalle varie convenzioni internazionali, si è preoccupato solo della figura del giudice, elencando espressamente,in ordine successivo, i vari criteri da questo utilizzabili al riguardo.
Il Notaio che ha bisogno di conoscere la legge straniera, invece,non può fare altro,per unica analogia applicabile, che ricorrere ad esperti ed istituzioni specializzate;oppure, alle attestazioni dei Consolati, autorità che, peraltro, non hanno l' obbligo di fornire i chiarimenti richiesti.
Passando all'ulteriore problematica che deriva dall'atto straniero da valere in Italia, l'art. 68, rubricato "attuazione ed esecuzione di atti pubblici ricevuti all'estero" anche se inserito nel Titolo IV della L. 218/95, relativo all'efficacia di sentenze e atti stranieri, non contiene alcuna prescrizione particolare riguardo all'atto vero e proprio,ma, si limita, sic et simpliciter, ad operare un rinvio all'art. 67. E', pertanto, da questa norma, dettata però in tema di attuazione di sentenze e provvedimenti stranieri di Volontaria Giurisdizione, che dovrebbe partire l'analisi volta a delineare negli elementi essenziali la disciplina applicabile agli atti pubblici ricevuti all'estero.
Nessuna prescrizione è rivolta al Notaio, che pure è uno dei principali destinatari dell'atto straniero, allorché questo debba essere utilizzato in Italia.
Riferirsi del tutto alle norme di diritto internazionale privato, che fanno rinvio alle norme di diritto straniero, sia per quanto riguarda la forma che la sostanza, non basta al fine di dotare l'atto straniero della stessa forza e della stessa efficacia che spetta invece all'atto notarile italiano. L'atto notarile è, infatti, chiamato a svolgere importanti funzioni,compresa quella probatoria di cui agli articoli 2699 e 2700 c.c., funzioni necessariamente collegate alla peculiare figura del Notaio.
Gli articoli 106 n. 4 della L. 16 febbraio 1913 n. 89 (legge notarile), che dispone l'obbligo "prima di farne uso" del deposito dell'atto pubblico estero presso un Archivio Notarile o presso un notaio esercente, e l'articolo 68 del Regolamento notarile, che stabilisce che gli atti rogati in paese estero, purché siano debitamente legalizzati (in senso lato e se necessario) ed accompagnati da traduzione in lingua italiana, possono essere depositati in Italia con apposito verbale notarile, avvalorano e riconoscono esplicitamente al Notaio una indispensabile funzione di controllo che si sostanzia nella verifica del rispetto,da parte dell'atto straniero, della legalità e dell'ordine pubblico italiano.
L'analisi dell'atto deve, quindi, mirare ed accertare: a) l'esistenza dei requisiti formali,e ciò, allo scopo di verificare se, ed in quale misura, all'atto stesso possa essere attribuita la "pubblica fede"; b) l'esistenza dei requisiti sostanziali, al fine di controllare la sussistenza della possibilità in fatto che esso possa essere sottoposto alla formalità di pubblicazione nel nostro ordinamento. Infatti, gli artt. 2657 secondo comma c.c. in tema di trascrizione e 2837 c.c. in tema di iscrizione, prescrivono la preventiva legalizzazione degli atti e delle sentenze straniere perché possano essere ritenuti titoli idonei alla pubblicità immobiliare.
La funzione del deposito, oltre che alla esigenza di conservazione del documento ed a quella di adempimento degli obblighi fiscali, risponde anche alla esigenza di conformare l'atto estero al nostro ordinamento; con il verbale di deposito è possibile procedere anche all'adeguamento dell'atto alle prescrizioni richieste a pena di invalidità o di inefficacia dalla Legge italiana, nel caso in cui, come quasi sempre accade, l'atto rogato all'Estero, ne sia carente.
Pertanto, si può affermare che è l'atto di deposito, che rende equivalenti il documento proveniente dall'estero ed il documento notarile italiano.
Quanto detto non vale esclusivamente per l'atto pubblico inteso come documento tipicamente notarile: in Italia, anche la scrittura privata autenticata dal Notaio assicura e garantisce il controllo di legalità del suo contenuto. Ciò non avviene in altri paesi quali quelli anglosassoni, ad esempio, dove spesso l'autentica delle firme è affidata a soggetti addirittura privi di qualsiasi formazione giuridica e che si limitano, contrariamente a quello che il Notaio deve fare, ad attestare unicamente l'avvenuta apposizione delle sottoscrizioni all'atto, senza, peraltro, garantirne in alcun modo il contenuto.
Passando alla trattazione degli atti notarili da valere all'estero, mi è capitato di essere richiesto della redazione di un verbale di assemblea straordinaria il cui ordine del giorno era costituito dal trasferimento della sede legale all'Estero ed in particolare in Romania.
Dove reperire le norme e soprattutto come redigere un verbale pienamente conforme, allo stesso tempo, al dettato della legge notarile, della legge italiana e della legge rumena?
E, anche ammettendo di poter superare tali ostacoli, come riuscire a risolvere le ulteriori problematiche costituite dall'espletamento degli adempimenti pubblicitari collegati ad ogni atto?
La rivoluzione informatica che ha investito direttamente la nostra professione, fa si che ormai dobbiamo concepire e redigere gli atti non solo nel rispetto di quanto detto sopra ma anche in maniera tale che essi possano essere accettati senza problemi da tutti gli Uffici cui sono diretti per gli adempimenti.
Per il Registro delle Imprese di Napoli, ad esempio, non era possibile iscrivere un verbale come quello in esame: per tale Ufficio, se l'attività non doveva essere più svolta in Italia la società andava sciolta, posta in liquidazione e successivamente cancellata dal Registro delle Imprese Italiano, con la conseguente necessità di procedere alla sua costituzione ex novo all'Estero.
Per concludere sul punto, nel caso brevemente esaminato non è stato materialmente possibile realizzare la volontà dei soci, i quali si sono trovati costretti ad usare il trasferimento della sede all'Estero come causa che ha motivato la delibera di scioglimento della società.
Resta da esaminare l'ulteriore difficoltà riscontrata nella pratica allorquando si presenti un cittadino straniero, magari extracomunitario, intenzionato a compiere un atto in Italia.
Prima della riforma, ai sensi dell'art. 16 delle preleggi, tutt’ora in vigore, occorreva constatare la sussistenza o meno della condizione di reciprocità: tale verifica avveniva con l'ausilio del Ministero degli Esteri.
Con il mutamento progressivo della società, con l'espandersi del fenomeno dell'immigrazione e con l'entrata in vigore della legge 6 marzo 1998 n. 40, recante la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, trasfusa nel T.U. n. 286/98, la questione attinente all'esercizio da parte dello straniero dei diritti civili a condizione di reciprocità deve essere riesaminata.
Il legislatore italiano ha riconosciuto ai cittadini stranieri legalmente soggiornanti in Italia, gli stessi diritti in materia civile ed economica di cui gode il cittadino italiano, a prescindere dall'esistenza o meno della condizione di reciprocità, fatti salvi i casi in cui le convenzioni internazionali o la stessa legge dispongano diversamente.
In tal senso il Tribunale di Bologna con sentenza del 2 luglio 1998 ha affermato che l'art. 2 comma 2 della legge 40/98, comporta una deroga parziale al principio sancito dall'art. 16 delle preleggi,per cui,in mancanza di convenzione internazionale restrittiva cogente, la verifica di accesso operativo all'esercizio del diritto civile da parte dello straniero può essere limitata al mero riscontro della regolarità del soggiorno.
Quindi il d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286, T.U. sulle disposizioni concernenti l'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero che, si ripete,ha inglobato l'art. 2 comma 2 della L. 40/98 sancisce, nelle ipotesi previste, la parità pressoché totale,con i cittadini Italiani. Pertanto,i cittadini stranieri possono procedere all'acquisto di mobili registrati,di immobili situati nello Stato o all'acquisto di qualsiasi diritto reale immobiliare.
Ma ,anche laddove i problemi potrebbero sembrare così risolti, la realtà offre, invece, una casistica che non sempre è di facile soluzione. Si pensi ad un atto di acquisto di immobile effettuato da uno straniero coniugato o da coniugi stranieri. Quale è il regime patrimoniale applicabile al caso concreto? Come adempiere agli obblighi pubblicitari richiesti dalla legge italiana?
A norma dell'art. 30 della L. 218/95 i coniugi hanno la possibilità di convenire per iscritto che i rapporti patrimoniali siano regolati dalla legge dello Stato di cui uno di essi sia cittadino o nel quale almeno uno di essi risieda.
Tale convenzione, stipulabile sia contestualmente che successivamente alla celebrazione del matrimonio potrà provenire anche dall'Estero, purché, come già si è detto ,sia sottoposta in Italia all'obbligo del deposito a norma dell'art. 106 n. 4 della legge notarile. L'accordo dei coniugi sarà valido se considerato tale dalla legge scelta o dalla legge del luogo in cui l'accordo è stato stipulato.
In assenza della convenzione sopramenzionata i rapporti patrimoniali tra i coniugi stranieri o misti saranno regolati dalla legge applicabile ai rapporti personali, distinguendo ulteriormente tra i coniugi aventi cittadinanza comune da quelli di cittadinanza diversa. Nel caso in cui la convenzione sia assente, cosi come quando risulti difficile oggettivamente accertare il regime patrimoniale dei coniugi, sia per l'impossibilità di reperire la normativa straniera di riferimento, sia per le difficoltà di interpretazione della stessa,il notaio potrà suggerire ai coniugi stranieri di stipulare,prima di procedere all'acquisto di un immobile nel territorio dello Stato, una convenzione scritta con la quale assoggettare il regolamento dei loro rapporti patrimoniali alla legge dello Stato Italiano.
Queste brevi riflessioni sulla normativa della L. 218/95 fanno emergere l'importanza del ruolo dell'interprete in una materia totalmente improntata alla mobilità ed a fattori suscettibili di continuo mutamento: anche il notaio, tradizionalmente interprete dei cambiamenti sociali e culturali del nostro Paese,dovrà, sempre più spesso, tenerne conto.

Intervento Prof. Scalese
... Il problema critico è quello del reperimento del Diritto Straniero sul quale io, per la verità, non mi ero soffermato in maniera esaustiva. Effettivamente questa è un pò la chiave di volta di tutte le questioni che ruotano intorno al Diritto Internazionale privato:conoscere questo benedetto Diritto Straniero da applicare per la disciplina della fattispecie caratterizzata da elementi di estraneità e devo riconoscere che c’è la più assoluta carenza di un sistema per i notai che ufficialmente garantisca il reperimento e l’accertamento della legge straniera. I notai stessi ricorrono agli amici professori di diritto internazionale e per quanto un professore di diritto internazionale si possa adeguatamente sforzare di essere quanto più aggiornato possibile, non si può pretendere che parli l’armeno, il russo, il cinese e legga e traduca contestualmente dal cinese al giapponese. Quindi, le difficoltà non riguardano soltanto loro .In fondo, riguardano tutti. Una soluzione potrebbe essere un organismo centrale che funzioni presso il Ministero degli Esteri . Qualcosa esiste con l’UNIDRUA che è un Ente per lo studio e l’unificazione del Diritto Internazionale privato con sede a Roma.
E’ anche vero che la legge di riforma, come ha accennato la Notaio Monti,qualcosa dice ma lo fa specialmente a beneficio dei magistrati:non perchè ha voluti trattare bene i Magistrati,ma perché, in effetti, il legislatore si è preoccupato di introdurre nella legge di rifiorma una chiarificazione:nel processo la conoscenza del Diritto Straniero non è per il Giudice una facoltà; essa non deve essere provata dagli avvocati ma reperita d’ufficio. Si applicherà cioè, anche oer il Diritto Italiano il principio “iura novi curia”. C’era chi sosteneva che il Diritto Straniero è un patto che può avere rilevanza nel processo e come tale deve essere provato dalle parti,ma oggi si è chiarito che si applica il Diritto Straniero in quanto Diritto e come tale la conoscenza di esso è di competenza dei Magistrati. Beh da parte mia consiglierò sempre ai colleghi avvocati di impegnarsi ad aiutare il Magistrato a reperire il Diritto Straniero. Comunque, la legge di riforma é intervenuta cercando di facilitare il compito prevedendo la possibilità che i tribunali si affidino ad esperti e ad istituzioni universitarie.In pratica, si dovrebbero stipulare delle convenzioni con le università affinché la magistratura si possa avvalere di una consulenza nel reperimento del Diritto Straniero. Per la verità, io non ho notizia di tali iniziative;mi fa piacere apprendere che qualche Tribunale abbia provveduto in tal senso. Ma, vi garantisco,almeno da Napoli a Cassino, passiamo anche per Sora, queste convenzioni non sono state stipulate. Ovviamente, questo è un aspetto soltanto parziale perché per i Notai rimarrebbero il problema.Intanto come vedete, nulla si fa, nulla si muove. Forse i Notai farebbero bene a fare un pò di voce grossa nel loro Consiglio Nazionale,per farsi meglio ascoltare, direi. Io so che un servizio esiste,ma poi gli amici Notai mi chiamano e mi diceno: ”Sai, il servizio non funziona bene; che puoi fare? dicci qualcosa”. So che questo servizio viene offerto dal Ministero degli Esteri.Ma non funziona in modo eccellente.Bisognerebbe forse pensare ad un nuovo organismo. Potrebbe essere un’ occasione per dare uno sbocco ai giovani laureati e ben preparati che troverebbero, così, un lavoro prestigioso e ad alto livello,utile anche ai notai. Ripeto, tutto questo però sarà il frutto di una sensibilizzazione. E’ molto raro trovare notai che affrontino questi problemi. Uno di essi è Mariarosaria Monti, eccellente cultrice del Diritto; ma di queste cose io non ne sento parlare, è bene che se ne cominci a parlare, per quello stream of consciences di cui vi dicevo sopra.
Cedo finalmente la parola alla Magistratura e per un piccolo cambiamento di programma al quale ha fatto cenno l’avv. Marsella. Parlerà per primo il dott. Gabriele Sordi.

Dott. GABRIELE SORDI
Giudice Coordinatore del Tribunale di Sora.

L’applicazione di norme di diritto internazionale nella prassi giudiziaria nel nostro Paese è, come intuibile,in crescita e ciò in conseguenza dei nuovi assetti della cooperazione fra Stati membri di condivise organizzazioni internazionali e dell’ampliamento delle forme di collaborazione trasfrontaliera al fine sia di assicurare certezza del diritto negli scambi commerciali e nei rapporti interpersonali di diritto privato e commerciale sia di fronteggiare con sempre maggior incisività fenomeni criminali che non contengano il loro campo di azione all’interno dei confini nazionali.
Pertanto, oggi il rischio è quello di trovarsi ad essere inconsapevoli protagonisti di vicende negoziali, prima, e processuali, poi, aventi connotati di internazionalità già disciplinati da normative che impongono capacità conoscitive in ordine alle loro fonti ed ai criteri di loro interpretazione che inducono fondate preoccupazione circa la possibilità di loro attingimento con soddisfacenti risultati di consapevolezza ed orientamento; così come, nel settore della lotta al crimine, di non disporre, invece, ancora – e nonostante gli sforzi notevoli di nuova produzione normativa – degli strumenti auspicati in termini di effettività dell’intervento.
Emerge, comunque e primariamente, l’esigenza di iniziare ad assumere familiarità con gli istituti esistenti. Proprio per tal motivo è positivo registrare come gli organi rappresentativi o comunque emanazione della magistratura, dell’avvocatura e del mondo accademico, abbiano avviato con intensità crescente occasioni ed incontri di studio e di diffusione delle conoscenze.
La stessa Commissione dell’ Unione Europea, molto concretamente, ha inteso questa urgenza ed ha adottato in data 28 giungo 2002 il Programma quadro per la cooperazione giudiziaria in materia civile prospettando l’istituzione di un “Atlante giudiziario europeo”, ovvero una banca dati accessibile via Internet che indichi ai cittadini quali siano le autorità cui rivolgersi per trovare il giudice competente, per notificare gli atti, per assumere prove o far eseguire sentenze, nonché di altra banca dati nella quale raccogliere la giurisprudenza delle autorità dei diversi Stati membri relativa all’applicazione dei regolamenti disciplinanti tali argomenti.
Diamo, dunque, un rapido sguardo a tali regolamenti europei intervenuti a disciplinare particolari istituti del settore civile e commerciale, per poi porre l’attenzione a quanto di recente prodotto dalla cooperazione intergovernativa europea nel settore penale.
I REGOLAMENTI EUROPEI NEL SETTORE DELLA COOPERAZIO GIUDIZIARIA IN MATERIA CIVILE
Notificazione
Fra i primi complessi normativi che vengono all’attenzione degli operatori del contenzioso certo è da annoverarsi, non foss’altro che per ragioni di anteriorità procedimentale, quello relativo alla disciplina della notifica degli atti giudiziali ed extra giudiziali all’estero.
Trattasi di questione preliminare di fondamentale importanza per le intuitive conseguenze in ordine a nullità di effetti di tutta l’attività processuale che sia conseguita ad un contraddittorio sol in apparenza regolarmente istituito, con l’inevitabile caducazione del provvedimento eventualmente adottato a sua conclusione.
In argomento, è del 29 maggio 2000 l’adozione da parte del Consiglio dell’Unione Europea del Regolamento n. 1348/00 che ha dettato regole per la disciplina delle notifiche e comunicazioni in materia civile e commerciale.
L’assetto ricalca in parte quello della preesistente convenzione dell’Aja datata 15 novembre 1965 che resta valida per i rapporti fra il nostro Paese e tutti gli altri Stati esteri extrcomunitari che l’adottarono, compresa la Danimarca che non ha inteso partecipare alla convenzione dalla quale è scaturito il Regolamento CE. (hanno, invece, inteso partecipare al Regolamento stesso sia il Regno Unito sia l’Irlanda).
Va premesso che, per potersi applicare, il Regolamento - circoscritto alla materia civile e commerciale – necessita che sia noto il recapito del destinatario (art 2 comma 2°); altrimenti , in ossequio al dettato dell’art 12 delle norme di diritto internazionale privato che in generale prevede che “il processo civile che si svolge in Italia è regolato dalla legge italiana”, si applicherà la procedura stabilita dall’art 143 del c.p.c..
Così come, per tutte le materie non civili né commerciali (si pensi al “tributario” ed all’ “amministrativo”) varrà l’art 142 del c.p.c..
Sarà ciascuno Stato membro a designare i pubblici ufficiali “mittenti” o “riceventi” , avendo altresì facoltà di istituirne uno solo per tutto il territorio, scelta che i più avveduti commentatori già hanno auspicato non si verifichi, perché essa comporterebbe l’invitabile rischio di elefantiasi della procedura.
Ben più utile, al contrario, la designazione di un’autorità centrale che fornirà informazioni agli organi mittenti, ricercherà le soluzioni per le difficoltà che siano in concreto insorte in occasione della trasmissione degli atti da notificare e curerà direttamente la trasmissione al competente organo ricevente in casi eccezionali (art 3).
Si prospetta davvero interessante, in particolare, l’esistenza di una simile autorità informativa se sol si tien presente che il richiedente la notificazione avrà necessità di conoscere quale sia la procedura seguita dallo Stato richiesto alla stregua della quale, secondo la regola generale di cui all’art 7 comma 1°, la notificazione verrà compiuta e secondo la quale, per l’analoga norma generale di cui all’art 9 comma 1°, andrà individuata la data dell’avvenuta notificazione.
Ciò perché il richiedente potrebbe temere che quelle modalità adottate dal Paese richiesto siano poi ritenute in contrasto con i principi d’ordine pubblico processuale ritenuti dall’autorità giudiziaria italiana - vaglio che sembra poter sempre esser effettuato dal giudice italiano per come previsto dall’art 16 delle norme di diritto internazionale privato, tanto più a seguito dell’affermazione oggi contenuta nel rinnovato art 111 della Costituzione per cui “Ogni processo si svolge nel contraddittorio fra le parti” – e perciò determinarsi a richiedere, come gli dà facoltà lo stesso art 7 del Regolamento, di chiedere che l’organo ricevente rispetti particolari formalità da lui stesso suggerite, ovviamente quelle stesse pretese dalla normativa nazionale.
Ebbene, anche per poter formulare tale specifica richiesta, il richiedente dovrà prima sapere se le forme che andrà a richiedere siano compatibili con la legislazione dello Stato richiesto il quale, altrimenti, gli negherà l’adempimento.
Si è già detto del principio per cui la data di perfezionamento della notificazione è definita alla stregua della normativa dello stato richiesto.
Lo stesso art 9 precisa, però, che ove la normativa nazionale pretenda al richiedente il rispetto di un termine decadenziale, il suo adempimento sarà ritenuto tempestivamente perfezionato secondo quanto previsto dalla legge nazionale regolativi del procedimento.
In Italia, all’uopo, essendo oramai principio di diritto quello per cui in simili casi sarà ritenuto tempestivo l’adempimento purché entro il termine decadenziale sia stato trasmesso l’atto dall’ufficiale giudiziario all’organo ricevente (Corte Cost. sent. n. 69/94 in materia di notificazione all’estero del sequestro sub art 680 c.p.c. ante riforma).
L’analogo principio è stato oramai autorevolmente sancito anche per le notifiche eseguite a mezzo interne dalla Corte Costituzionale che con la sua sent. n. 477 del 20-26 novembre 2002 ha dichiarato l’illegittimità del combinato disposto degli artt 149 del c.p.c. e 4/3° della L n. 890/80 nella parte in cui prevede che la notificazione si perfezioni, per il notificante, alla data di ricezione dell’atto da parte del destinatario anziché a quella, antecedente, di consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario.
Dubbi si erano posti se tale interpretazione potesse e dovesse esser adottata anche dopo che la riforma aveva introdotto, all’art 669 sexies c.p.c., previsione di triplicazione del termine di notificazione nell’uniforme procedimento cautelare.
Giova ricordare come la stessa Corte Cost., in data 22 ottobre 1996, ha avuto modo di precisare che la sua pronuncia n. 69/94 aveva inciso in termini generali sulla procedura notificatoria degli atti all’estero sicché, il suddetto principio di scissione fra il momento perfezionativo e quello operativo ed il correlato della sufficienza del compimento delle formalità che rientrino nella disponibilità del notificante, aveva ed ha portata di carattere generale.
Restando in argomento, il comma 3° dell’art 19 del Regolamento prevede che, pur quando il convenuto da raggiungere con la notifica all’estero non sia comparso, il giudice possa pur sempre ordinare un provvedimento provvisorio o cautelare.
Con ciò facendo eccezione alla norma processuale uniforme dettata nel medesimo articolo per cui, in simile evenienza di mancata comparizione del convenuto, altrimenti il giudice dovrebbe soprassedere alla decisione fintantoché non abbia acquisito prova dell’effettiva ricezione.
Per la verità, anche per i procedimenti non connotati da urgenza, si prevede che il giudice, pur in difetto di simile acquisizione, possa operare una valutazione del buon fine della notifica per essere state comunque rispettate le formalità di spedizione e per esser trascorso termine di almeno sei mesi , ma il nostro Paese si è affrettato a comunicare alla Commissione che rinuncia ad avvalersi di tale possibilità, negando, pertanto ai suoi giudici di poter esprimere tale giudizio.
Merita un ultimo commento la procedura, pur ammessa dall’art 14 del Regolamento, di esecuzione della notifica tramite spedizione postale eseguita dall’ufficiale giudiziario: a costui l’articolo si riferisce parlando di Stato membro e non di singolo richiedente.
Acuti commentatori (G. Campeis e A. De Pauli “Prime riflessioni sulla disciplina delle notifiche in materia civile e commerciale nell’Unione Europea” Giustizia civile p. 238 e ss anno 2000) hanno evidenziato come sia prudente ricorrere a tale forma notificatoria quando si abbia la pressoché assoluta sicurezza della ricezione dell’atto nelle mani del destinatario o di soggetto inequivocabilmente abilitato a prenderlo (es: notifiche ad enti, istituti, studi ecc).
Altrimenti, ben potendo darsi il caso che l’ufficiale postale straniero non sia assoggettato a formalità analoghe a quelle stabilite dalla nostra legge postale n. 890/82 per come integrata dalla sentenza della Coret Costituzionale n. 346/98, ci si esporrà al rischio dell’insufficienza della formalità.
In tal caso, di ricezione non nelle mani stesse del destinatario, si è pure messo in rilievo come potrebbe pur ritenersi inevaso l’obbligo sancito dall’art 8 del regolamento che impone all’organo ricevente del Paese richiesto di avvisare il destinatario della sua facoltà di rifiutare l’atto ove esso non sia redatto nella lingua ufficiale del medesimo Stato richiesto o in quella dello Stato mittente che egli conosca.
Diversamente, in previsione che l’organo notificante dello Stato richiesto, di sua iniziativa possa procedere alla consegna a mezzo posta, simili inconvenienti potrebbero essere prevenuti corredando la richiesta di notifica all’estero con l’istanza di ulteriori modalità che ricalchino quelle di cui all’art 140 cpcp che, ove ritenute ammissibili per come detto dall’organo ricevente, assicurerebbero la validità della notifica in caso di mancata ricezione nelle mani del destinatario o di sua consegna a soggetti dal dubbio rapporto di colleganza con costui. Competenza giurisdizionale
Già con la riforma del sistema italiano del diritto internazionale privato (L. n. 218/95) il legislatore italiano – fermi per il resto il richiamo al domicilio del convenuto nel nostro Paese ed ai criteri stabiliti per la competenza per territorio – si era espressamente riferito ai diversi criteri di individuazione del foro competente nella controversie fra soggetti residenti in diversi paesi nelle materie civili e commerciali stabiliti dalla Convenzione di Bruxelles del 1968 e da sue modificazioni svincolati dalla sussistenza del requisito del domicilio in Italia (art 3).
Oggi, non credo possa esservi dubbio, il richiamo a detta Convenzione ed alle sue modificazioni deve esser inteso rivolto al nuovo testo C.E., il Regolamento n. 44/01 concernente l’argomento, pur se, a stretto rigore di terminologia, l’innovazione non è stata introdotta mediante modifica alla Convenzione.
La c.d. “comunitarizzazione” della materia introdotta dal Trattato di Amsterdam ha comportato bensì l’affermazione della competenza della Corte di Giustizia a risolvere questioni in ordine all’interpretazione del Regolamento, ma con il limite espresso dall’art 68 per cui qui il rinvio potrà ad essa esser operato solo dalle Corti di ultima istanza e senza nemmeno l’obbligo per esse di disporlo (vedi quanto invece disposto in ordine al rinvio stesso dall’art 234 del Trattato CE).
Per altro, analoga competenza era stata già assegnata alla Corte di Lussemburgo riguardo le identiche questioni interpretative scaturite dalla Convenzione di Bruxelles del 1968 dal protocollo d’intesa intervenuto il 3.6.71; pur con la doverosa specificazione che le pronunce in tema della Corte sarebbero state vincolanti solo in caso di applicazione diretta delle regole dettate dalla Convenzione stessa e non anche in caso di loro richiamo operato dal diritto interno.
E’, dunque, del tutto naturale che oggi si faccia riferimento alla giurisprudenza già emanata dalla Corte nella stessa materia ove si pongano le medesime questioni già insorte in applicazione della Convenzione di Bruxelles.
Va, a tal proposito, evidenziato come la Corte stessa abbia sovente adottato “interpretazione autonoma” dei concetti da specificare, ovvero abbia, al fine di realizzare per quanto possibile l’uniformità di disciplina nell’ottica della più immediata certezza del diritto, proposto soluzioni affidate a definizioni da essa sancite senza rimandare l’interprete all’uno o all’altro dei singoli ordinamenti interni dei Paesi membri.
Il Regolamento n. 44/01 premette il criterio generale del foro individuato, anche per i soggetti extracomunitari, nel loro domicilio: alcun rilievo, dunque, viene dato alla nazionalità. Ed il domicilio in uno degli Stati membri non comporterà solo la possibilità per il soggetto di esser convenuto innanzi ad autorità di detto Stato ma anche, nel rispetto dei successivi criteri fissati dal medesimo testo da intendersi in termini rigorosamente tassativi perché costituenti eccezioni alla regola generale, di esser convenuto innanzi ad autorità di altro Stato membro (art 2).
L’art 59 del Regolamento chiarisce che per determinare se il soggetto abbia il domicilio in uno degli Stati membri occorrerà rifarsi alla normativa interna di detto Stato.
Ed il domicilio in uno degli Stati membri assurge ancor maggior significato laddove si prevede che chi lo possieda, a prescindere della sua nazionalità, possa convenire in giudizio innanzi ad autorità di un Paese membro, nelle materie cui si riferisce il Regolamento, anche soggetto che non vi abbia domicilio secondo le regole di competenza interne a detto Stato membro, ottenendo poi il riconoscimento nell’ambito CE della pronuncia (art 4).
Il Regolamento distingue, poi, una serie di fori facoltativi, altri esclusivi, altri a tutela del c.d. “contraente debole”, altri esclusivi per volontà delle parti (la c.d. “proroga della competenza”).
Desta particolare interesse, tra i “fori facoltativi” la disciplina dettata all’art 5 per l’individuazione del foro nelle controversie in materia contrattuale. Nel ribadire il criterio già stabilito dalla Convenzione di Bruxelles per cui la persona domiciliata nel territorio di uno Stato membro potrà essere convenuta in altro Stato membro davanti al giudice del luogo in cui l’obbligazione dedotta in giudizio è stata o
debba esser eseguita, il Regolamento ha precisato che tale luogo sarà quello in cui i beni compravenduti siano stati o avrebbero dovuto esser consegnati e quello in cui i servizi siano stati o avrebbero dovuto esser prestati.
Tale specificazione è stata introdotta nel tentativo di eliminare, nella materia contrattualistica, il c.d. problema del forum shopping.
Ed infatti, vigeva (e vige ancora per quanto riguarda le controversie non assoggettate al Regolamento) l’orientamento adottato dalla Corte di Giustizia (sent del 6.10.76 in causa 12/76 , Industrie Tessili Italiana Cuomo c. Dunlop) per cui, tenuto conto delle divergenze esistenti fra le legislazioni nazionali sui contratti, “il riferimento fatto dalla Convenzione al luogo di esecuzione delle obbligazioni contrattuali non può essere inteso se non come rinvio al diritto sostanziale da applicarsi, il quale va individuato in base al diritto internazionale privato del giudice investito della causa” (v. l’art 57 delle nostre norme di diritto internazionale privato).
Tale prevalente indirizzo interpretativo non autonomo ma conflittualistico spesso ha comportato l’individuazione del foro a seconda che la causa fosse stata iniziata dall’una o dall’altra parte per prima innanzi al giudice del foro ritenuto più conveniente, a volte finendo per interessare l’autorità giudiziari di un Paese del tutto distante dall’oggetto della controversia.
Le specificazioni di cui all’art 5 del Regolamento sono servite giusto a garantire la vicinanza del giudice adito rispetto a tale oggetto, al fine di agevolare il compimento dei necessari accertamenti istruttori.
Nell’elencazione dei fori del c.d. “contraente debole” si segnala l’innovazione, rispetto a quanto già disposto nel testo della Convenzione di Bruxelles, per i contratti conclusi da consumatori nella forma del commercio elettronico: si stabilisce il foro del domicilio del consumatore, facoltativo ove sia costui ad agire, esclusivo ov’egli sia convenuto e ciò per il sol fatto che le attività commerciali siano, con qualsiasi mezzo, dirette verso lo Stato membro ove costui domicili; è giusto il caso dell’acquisto proposto sulla rete da un esercente che operi da altro Paese membro (artt 15 e 16).
Per favorire lo svolgimento delle controversie nella materia dei contratti individuali di lavoro, altro foro di “contraente debole”, l’art 19 specifica che l’obbligazione da considerare al fine di individuarlo sia, non quella dedotta in giudizio (come invece previsto in via generale per le controversie in materia contrattuale) ma sempre e solo la prestazione del lavoratore, e l’art 21 ammette il diverso accordo delle parti solo se successivo all’insorgere della controversia o che sia tale da concedere al lavoratore solo ulteriore facoltà.
E’ ribadita nel Regolamento (artt 23 e 24) la possibilità della scelta convenzionale del foro (la c.d. “proroga della competenza”), con alcune particolarità rispetto a quanto già previsto dalla Convenzione.
Si stabilisce, infatti, la possibilità della previsione del diverso foro anche in via facoltativa e non solo in quella esclusiva e che la necessaria forma scritta possa concretizzarsi altresì in qualsiasi comunicazione per mezzi elettronici che permettano una registrazione durevole della clausola attributiva della competenza.
Interessante la norma, già aggiunta alla Convenzione di Bruxelles, per cui tale forma scritta dell’accordo possa validamente esplicarsi in una forma riconosciuta generalmente nell’uso commerciale ampiamente conosciuto e regolarmente rispettato da parti ci contratti dello stesso tipo del ramo commerciale considerato.
La Corte di Giustizia già aveva avuto modo di ritenere valida, alla stregua di simili principi, “l’assenza di reazioni ed il silenzio osservato da uno dei contraenti nei confronti di una lettera commerciale di conferma, prodotta dalla controparte, in cui si trovi inserita l’indicazione prestampata del foro nonché la circostanza che una parte abbia onorato reiteratamente e senza alcuna contestazione fatture emesse dall’altra parte e contenenti un’indicazione analoga” (Sentenza 20 febbraio 1997 in causa n. 106/95 MSG c. SARL).
Resta salva, a chiusura del sistema, la c.d. “proroga tacita”, ovvero l’individuazione della competenza del giudice adito sol per esser innanzi ad esso comparso il convenuto senza aver nulla obiettare (art 24).
Riguardo il termine ultimo entro il quale possa ritenersi concessa la facoltà del convenuto costituitosi di eccepire il difetto di competenza giurisdizionale in capo al giudice adito, la Corte di Lussemburgo, nella dichiarata consapevolezza dell’estrema diversità dei sistemi processuali interni ai singoli Paesi, ha avuto modo di precisare che, per produrre effetto, detta eccezione debba precedere le difese nel merito o, comunque, essere formalizzata nell’atto considerato il primo di difesa innanzi al giudice dal diritto processuale nazionale. (Sentenza 24 giugno 1981 in causa n. 150/80 Elefanten Schul GmbH c. Pierre Jacqmain).
Per i provvedimenti provvisori e cautelari l’art 31 del Regolamento stabilisce, sempre per la materia civile e commerciale, la possibilità di adire un giudice che pure non sarebbe competente secondo i principi ordinari , salva, ovviamente il necessario ritorno a quei principi riguardo l’instaurazione del giudizio di merito.
In tal senso la Corte di Lussemburgo ha avuto occasione di sottolineare la necessità che i provvedimenti adottati dal giudice in tal modo adito fuori dall’ordinaria disciplina della competenza, mantengano le caratteristiche della provvisorietà, ciò imponendo al giudice che li emetta di delimitarne nel tempo gli effetti o di imporre al soggetto beneficiato di fornire adeguate garanzie della sua capacità, in ipotesi, di ripristinare la situazione incisa dal provvedimento stesso.
La stessa Corte ha richiamato l’attenzione sul fatto che un simile provvedimento inaudita altera parte, potrebbe poi esser riconosciuto in altro Paese membro solo nel rispetto della condizione prevista dall’art 34 n.2) del Regolamento che, a tal fine, impone che la domanda sia stata notificata o comunicata al convenuto contumace in tempo utile e in modo tale da poter presentare le proprie difese. Ragion per cui simile provvedimento, di fatto, potrebbe esser utilmente ottenuto solo nel caso in cui se ne prospetti l’esecuzione in ambito della stessa nazione.
Non condivisa da alcuni interpreti, infine, quella giurisprudenza con la quale la Corte ha inteso restringere l’ampia scelta del foro per tali provvedimenti affermando che, comunque debba prospettarsi la vicinanza territoriale fra il giudice richiesto e l’oggetto dell’invocato provvedimento (Sentenze 21 maggio 1980 in causa n. 125/79 B. Denilauer c. SNC, e 17 novembre 1998 in causa C- 391/95 Van Uden Marittime BV), e ciò perché tale compressione non sarebbe in linea con l’ampiezza della previsione stessa della norma, evidentemente motivata dalla varietà della casistica che impone il ricorso a tali azioni cautelari ed urgenti ed alla correlata possibilità di riconoscimento dei provvedimenti in tutti gli altri ambiti nazionali.Riconoscimento ed esecuzione delle decisioni
Nel dichiarato intento di semplificare le formalità affinché le decisioni emesse dagli Stati membri siano riconosciute ed eseguite in modo rapido e semplice, il Regolamento n. 44/01 ha – rispetto la Convenzione di Bruxelles ed il Titolo IV delle nostre norme di diritto internazionale - ridotto le possibilità di controllo dei giudici dello Stato richiesto dell’esecuzione e precisato i connotati del comune procedimento da instaurasi, necessariamente quando si persegua detta finalità, così come pure quando si agisca in via principale per il mero riconoscimento della decisione straniera o quando detto riconoscimento sia stato opposto.
Ha, infatti, primariamente ridotto il campo delle verifiche che il giudice individuato competente (in Italia la Corte d’Appello) può operare.
Rispetto all’art 64 della L n 218/95 l’art 34 del Regolamento non consente alcuna indagine della competenza a decidere dell’organo dello Stato membro che sentenziò, ostando al riconoscimento la sola violazione di alcuni fra i fori posti a tutela dei “contraenti deboli” (in materia assicurativa, di contratti conclusi da consumatori, non anche di contratti individuali di lavoro) e di quelli esclusivi per come sanciti dallo stesso testo.
La verifica della regolare instaurazione del contraddittorio, poi, dovrà esser operata secondo il criterio della verifica della notifica dell’atto introduttivo in tempo utile al soccombente che non abbia impugnato la decisione.
Altro ostacolo al riconoscimento della pronuncia è l’esserne già intervenuta altra contrastante nello stesso Stato membro richiesto o in altro Stato membro che abbia le condizioni per essere in quello riconosciuta.
E’ stato poi conservato il limite rappresentato dall’ordine pubblico dello Stato richiesto, con il significativo inciso (in termini molto riduttivi) della manifesta contrarietà ad esso da parte della pronuncia.
La giurisprudenza della Corte ha, al fine di riconoscere le più evidenti violazioni dell’ordine pubblico, fatto particolare riferimento alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo cui hanno aderito i Paesi membri (e perciò divenuta parte integrante del loro diritto pubblico interno), ad esempio rimarcando il necessario rispetto dell’effettività della difesa tecnica correlato al diritto al processo equo espressamente richiamandosi agli enunciati della Corte europea dei diritti dell’uomo.
Interessante la norma di cui all’art 47 del Regolamento che, se ai successivi commi riproduce l’art 39 della Convenzione di Bruxelles che già stabiliva la possibilità per colui che avesse ottenuto l’esecutività di ottenere altresì provvedimenti cautelari (unicamente di tipo conservativo quando ancora era in corso il termine per l’opposizione), al primo comma introduce la possibilità di invocare ed ottenere simili provvedimenti pur in forza di pronuncia estera che sia ritenuta meritevole di riconoscimento, dunque anche in attesa di esso.
Dalla giurisprudenza della Corte di giustizia emerge che simili provvedimenti cautelari non richiedono alcun atto autorizzativo specifico e distinto né provvedimento di convalida e che essi potranno essere impugnati unicamente con lo strumento dell’opposizione all’esecuzione.Assunzione delle prove all’estero.
Anche in tale materia, già disciplinata dall’art 69 delle norme del nostro diritto internazionale privato e dalla Convenzione dell’Aia del 18.3.70 (valida solo tra undici degli Stati dell’Unione Europea) è intervenuto Regolamento adottato dal Consiglio dell’U.E. il 28.5.01 con il n. 1206.
Lo schema è il solito: previsione di spedizione della richiesta nella forma più snella e diretta (art 2 e ss.), alle autorità indicate (da noi la Corte d’Appello) la cui completezza e chiarezza è assicurata dalla necessità di utilizzare il modulo allegato al regolamento stesso; limitazione a casi ben limitati ed eccezionali della possibilità di rifiuto da parte dello Stato richiesto di assunzione della prova (art 14).
A parte i casi di vizi formali nella compilazione dell’istanza inoltrata, rileva il caso limite della sua esorbitanza dalle attribuzioni del potere giudiziario dello Stato richiesto, con la precisazione che non possa quest’ultimo negarsi sol perché, secondo il proprio ordinamento interno, la questione apparterrebbe in via esclusiva a sua autorità giudiziaria o sarebbe ammesso alcun diritto di azione.
A ciò si accompagnano le previsioni di pronte comunicazioni sia del riscontro della ricezione della richiesta sia dell’avvenuto esperimento dell’incombente, di regola entro il termine massimo di 90 gg.
E’ altresì prevista, oltre la possibilità di partecipazione all’assunzione della prova delle parti in causa e dei loro procuratori, salvo divieti posti dal diritto interno dello Stato richiesto secondo il quale l’art 10 comma 2° afferma doversi dare esecuzione all’atto, altresì quella di chiedere ed ottenere non solo l’assistenza di delegati dell’autorità giudiziaria richiedente (il magistrato stesso o suo perito) ma persino che la prova sia assunta direttamente dall’autorità giudiziaria richiedente nello Stato estero, in tal caso alla presenza di delegato di quella dello Stato richiesto che vigilerà il rispetto dei limiti fissati dal regolamento: in tal ultimo caso l’art 17 ha premura di ribadire che mai il magistrato di altro Paese in tal senso autorizzato potrà esercitare poteri coercitivi sul territorio che lo ha ospitato.
Per altro, considerato che ciò è pur previsto dall’art 10 comma 4°, il successivo art 17 comma 4° invita gli organi centrali (quelli cui l’art 3 assegna compiti di informazione e di soluzione di particolari difficoltà) così come quelli competenti a ricevere le richiese estere, a promuovere l’assunzione in video conferenza, con strumenti tecnici che consentano di evitare gli spostamenti delle parti e dei magistrati.
E’ questo davvero il prevedibile futuro della prassi applicativa anche se oggi lo stesso regolamento al suo art 10/4° ha dovuto consentire il rifiuto della specifica richiesta formulata per l’applicazione di tali strumenti quando permangano notevoli difficoltà di ordine pratico.Procedure d’insolvenza
La materia è espressamente esclusa dal Regolamento n. 44/01 (così come già lo era dalla Convenzione di Bruxelles) disciplinante la competenza giurisdizionale ed il riconoscimento delle decisioni in ambito U.E..
Come chiaramente esposto al punto 11 delle sue premesse, il Regolamento n 1346 approvato dal C.E. il 29 maggio 2000, nell’intervenire al fine di garantire il coordinamento operativo fra le diverse procedure di insolvenza eventualmente aperte in diversi Paesi membri per il medesimo soggetto e per garantire la possibilità di insinuazione dei creditori anche residenti in territori diversi da quello ove la procedura sia stata avviata, ha però dovuto astenersi dal dettare norme istitutive di un unico rito nella consapevolezza del legislatore di Bruxelles delle rilevanti differenti fra le procedure concorsuali in vigore nei diversi Paesi aderenti in particolare in ordine al regime delle garanzie.
Premessa, dunque, l’elencazione in allegato per ciascun Paese di quali debbano ritenersi le procedure oggetto della regolamentazione (non necessariamente tutte disposte dall’autorità
giudiziaria, tanto che il termine “giudice” nel testo deve esser inteso in senso ampio), si stabilisce che la procedura “principale” di insolvenza si apra nello Stato nel cui territorio sia situato il centro degli interessi principali del debitore, per le società e le persone giuridiche da presumersi nel luogo ove si trovi la sede statutaria (art 3) ; che tale principale denuncia di insolvenza sia automaticamente riconosciuta negli altri paesi (con l’unico, solito, limite dell’ordine pubblico ex art 26) ove, per l’effetto, potranno aprirsi procedimenti definiti “secondari” di insolvenza senza necessità di alcuna ulteriore verifica della stessa; che vi sia scambio di informazioni fra il curatore della procedura principale e quelli delle secondarie.
E tali procedure secondarie di insolvenza potranno essere aperte non solo a richiesta di tutti i creditori ammessi dal diritto interno di quel Paese, ma anche del curatore della già dichiarata principale in altro Paese (art 29) e ciò perché costui potrebbe aver incontrato estrema difficoltà nel gestire un patrimonio troppo grande ed assoggettato a diversi e troppo differenti regimi interni.
E’ istituito un regime per cui il curatore della principale, non solo sarà tenuto a inviare la comunicazione a tutti creditori che siano conosciuti, ovunque essi si trovino, ma potrà anche chiedere ai singoli Paesi di pubblicizzare l’apertura della procedura.
E’ data illimitata facoltà a ciascun creditore di insinuarsi al passivo in qualsiasi delle procedure, la principale o le secondarie, aperte in qualsiasi Paese membro a carico del suo debitore.
Sarà, poi, proprio l’intenso e costante flusso di informazioni fra i curatori ad assicurare che, ove costui sia stato in parte soddisfatto in una di dette procedure, sarà postergato agli altri creditori della diversa procedura pur aventi credito di pari preferenza, e restituirà quanto in più rispetto all’ammontare del suo credito egli abbia indebitamente percepito (art 20).
Enunciato, poi, il rispetto dei singoli ordinamenti interni nella disciplina delle diverse e coordinate procedure principale e secondarie (artt 4 e 28), è stata però avvertita l’esigenza di affermare, in ogni caso, l’impregiudicabilità dei diritti reali dei creditori e dei terzi sui beni di qualsiasi specie appartenenti al debitore insolvente (art 5) e ciò nella consapevolezza della grande rilevanza della costituzione di simili diritti reali per la concessione dei crediti, sicché per essi è fatta salva la possibilità del creditore di ottenerne la separazione dalla massa (punto 25 delle premesse).
Così, al fine di tutelare i lavoratori, si è stabilito che la disciplina degli effetti dell’insolvenza sulla continuazione o meno del rapporto di lavoro e dei diritti e gli obblighi di ciascuna parte di esso resti stabilita dalla legge dello Stato membro applicabile al contratto.
Lo stesso criterio è stato stabilito in ordine alla disciplina dei sistemi di pagamento e dei mercati finanziari, anche qui per impedire stravolgimenti conseguenti all’instaurazione delle procedure di insolvenza che, altrimenti, potrebbero mettere in crisi il sistema stesso nel suo ordinario funzionamento (art 9).
Da ultimo un cenno ai poteri del curatore.
Quello della procedura principale potrà ottenere la temporanea sospensione della liquidazione nelle procedure secondarie e proporre in queste soluzioni concordate; finché non sia stata aperta anche lì una procedura secondaria di insolvenza, potrà far trasferire da ciascun altro Paese membro i beni del debitore nel suo; potrà, infine, chiedere alle autorità degli altri Paesi i provvedimenti conservativi necessari una volta chiesta la procedura di insolvenza.Materia matrimoniale e di potestà dei genitori sui figli di entrambi i coniugi
Il Regolamento n. 1347/00 adottato dal C.E. in data 29 maggio 2000 ha inteso disciplinare la competenza a decidere nei Paesi membri le questioni matrimoniali e le connesse relative alla potestà genitoriale nonché l’efficacia in ambito U.E. delle relative pronunce.
D’altronde la stessa esperienza palesa il crescere del numero di matrimoni intervenuti fra cittadini di differenti Paesi e delle problematiche scaturenti in sede giudiziaria.
Il Regolamento, che estende la sua applicazione anche ai cittadini extra comunitari aventi vincoli particolarmente intensi con il territorio dell’area comunitaria (art 8 comma 2°), così come già disponeva la Convenzione dell’Aja del 1° giungo 1970 sul riconoscimento dei divorzi e delle separazioni personali, ha per oggetto unicamente le questioni relative allo scioglimento del vincolo matrimoniale e non anche quelle attinenti l’addebito di colpa né gli aspetti patrimoniali.
Stante la dichiarata salvaguardia delle convenzioni stipulate da Spagna, Italia e Portogallo e la Santa Sede (art 40), restano escluse dalla regolamentazione europea le questioni circa la nullità dei matrimoni religiosi cui sono riconosciuti gli effetti civili.
Così, pure le questioni trattate in ordine alla potestà sui figli sono solo quelle relative all’affidamento e non tutte le altre di cui all’art 330 del nostro c.c..
Il Regolamento non detta norme di carattere sostanziale che, pertanto, saranno attinte dalla legge dello stato da individuarsi secondo le norme del diritto internazionale privato (art 26- 37).
L’art 12 del Regolamento fa salva la competenza ad adottare provvedimenti urgenti del giudice dello Stato ove si trovino le persone o le cose che ne debbano essere oggetto, in deroga dei criteri generali dettati dal medesimo testo.
L’art 14 sancisce il riconoscimento automatico delle pronunce negli altri Stati membri, con conseguente esclusione della necessità di alcun procedimento per l’aggiornamento delle iscrizioni nello stato civile, salvi limiti ristretti al rispetto dell’ordine pubblico interno, della effettiva instaurazione di valido e tempestivo contraddittorio, del già giudicato.
L’esecuzione delle decisioni (vi rientrano anche atti pubblici e gli accordi giudiziali comunque efficaci nel Paese membro, ex art 13) è subordinata alla dichiarazione adottata all’esito di apposito procedimento instaurato su istanza della parte interessata (artt 21-31). LA COOPERAZIONE IN MATERIA DI GIUSTIZIA PENALE ED AFFARI INTERNI IN AMBITO U.E.
Il trattato di Amsterdam (ratificato con L n. 209 del 16.6.1998) ha introdotto nel testo fondante l’Unione Europea l’obiettivo di “fornire ai cittadini un elevato grado di sicurezza in uno spazio di libertà, di sicurezza e giustizia, sviluppando tra gli Stati membri un’azione comune nel settore della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale” (art 29 [K.1]).
Si è osservato che, in tal modo, la cooperazione nello “spazio di Schengen” è entrata nel sistema comunitario.
Nel contempo, si è così deciso di lasciare proprio il suddetto quale residuo unico obiettivo del c.d. “Terzo Pilastro”, gli altri che prima vi rientravano, relativi alla libera circolazione delle persone, all’immigrazione, al diritto di asilo, alle misure nel settore della cooperazione giudiziaria in materia civile, essendo stati “comunitarizzati”, affidati alle procedure normative del Consiglio dell’Unione (da adottarsi necessariamente all’unanimità almeno nei primi cinque anni) i cui deliberati sono stati sottoposti al vaglio della Corte di giustizia per i casi e secondo le modalità dettate dall’art 68 del Trattato.
La collaborazione nella materia della polizia e giudiziaria viene pure specificata agli artt 30,31 e 32 del medesimo Trattato di Amsterdam, ad esempio individuando i compiti da affidarsi all’istituendo Ufficio europeo di polizia (Europol), gli obiettivi della cooperazione tra cui spicca l’agevolazione dell’estradizione fra gli stati membri e la fissazione di norme minime relative agli elementi costitutivi dei reati e alle sanzioni: è il c.d. “diritto penale minimo” auspicato nelle sole materie della criminalità organizzata, del terrorismo e del traffico illecito di stupefacenti.
In ordine, poi, alle procedure adottate per dar corpo a tale cooperazione, si ribadisce la necessità della deliberazione all’unanimità del Consiglio; le novità sono costituite solo dal conferimento anche alla Commissione del potere di iniziativa prima esclusivo degli Stati membri e dalla previsione della preventiva consultazione del Parlamento.
Riguardo i deliberati, alla tradizionale “convenzione” (per la quale ora, di regola, si stabilisce l’entrata in vigore una volta ratificata dalla metà più uno degli Stati membri) ed alla “posizione comune” di puro orientamento su specifiche questioni, si affiancano la “decisione quadro” , una sorta di direttiva da impiegarsi al sol fine di operare il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri con le forme ed i mezzi che questi decideranno sempre priva però di qualsiasi efficacia diretta, e la “decisione” da adottarsi per altri fini ed anch’essa vincolante per gli Stati aderenti .
Innovativamente, rispetto alla preesistente sua competenza sulle convenzioni sol ove in esse fosse stata prevista, è qui stabilito (art 35 [K. 7] ) che la Corte di Giustizia possa essere chiamata a pronunciarsi, a richiesta di un giudice nazionale, sulla validità e l’interpretazione di una decisione quadro e delle decisioni e sull’interpretazione delle convenzioni; decidere sulla legittimità delle decisioni quadro o delle decisioni su ricorsi di uno Stato o della Commissione; risolvere controversie tra Stati membri in ordine all’interpretazione o all’applicazione di tali deliberati.
E’ stato giusto in attuazione di alcuni degli obiettivi specificati dal Trattato a seguito delle modifiche apportate da Amsterdam (art 31 lett a) e su proposta della presidenza italiana del primo semestre 1996, che in data 29 maggio 2000 il Consiglio dei ministri della giustizia e degli affari interni dell’Unione Europea ha adottato la nuova Convenzione relativa all’assistenza giudiziaria in materia penale.
Con essa i quindici membri dell’U.E. hanno inteso integrare la convenzione adottata dal Consiglio d’Europa (quella, pertanto, in vigore in nei ben 45 paesi aderenti) a Strasburgo il 19 giungo 1959, e ciò nella piena “fiducia dei rispettivi ordinamenti giuridici e nella capacità di tutti gli Stati membri di garantire processi equi”, come dato leggersi nel preambolo.
Per completezza, tale convenzione si sovrappone altresì all’accordo di Schengen ratificato in Italia con la L n. 388/93, anch’esso disciplinante la cooperazione nell’ambito giudiziario penale.
Al fine di evitare gli intralci di fatto già in passato manifestatisi riguardo detti precedenti normativi, l’art 25 della nuova Convenzione esclude la possibilità degli Stati aderenti di opporre alla sua esecuzione riserve diverse ed ulteriori rispetto quelle in essa espressamente previste, ciò al fine evidente di impedire che, di fatto, le pattuizioni possano essere in concreto svuotate di efficacia.
Cade, pertanto, la possibilità di rifiuto della collaborazione richiesta sol perché l’illecito, nell’ordinamento dello Stato richiesto o in quello dello Stato richiedente, sia di natura amministrativa o concerna una persona giuridica (art 3).
Principi cardine introdotto dalla Convenzione, finalmente adottato al fine di scongiurare ricorrenti questioni circa l’utilizzabilità dell’acquisizione probatoria estera, è quello per cui l’assistenza sia prestata secondo le formalità e le procedure indicate dallo Stato richiedente (art 4).
In passato, operando il vaglio circa l’eventuale contrarietà ai principi fondamentali del nostro ordinamento giuridico, è capitato che un atto sia stato dichiarato inutilizzabile dalla nostra autorità giudiziaria per essere stato compito all’estero senza l’assistenza del difensore non contemplata dall’ordinamento estero.
Nello stesso senso, ove non si prospetti l’esecuzione dell’atto richiesto entro gli urgenti tempi indicati dal richiedente costretto al rispetto delle scadenze di rito, è previsto immediato accordo fra l’autorità richiedente e quella richiesta al fine di concordare comunque l’esperimento in termini che ne salvaguardino l’efficacia.
Si prevede, salvo specificati casi eccezionali, la trasmissione diretta a mezzo posta degli atti processuali al recapito estero (art 5) così come la trasmissione parimenti diretta tra l’autorità giudiziaria che procede e l’autorità giudiziaria territorialmente competente all’esecuzione all’estero dell’atto (art 6) , con l’ausilio dell’Interpol in casi di urgenza massima.
E’, così, sancita la fine del preventivo controllo politico sull’ammissibilità della rogatoria.
A norma dell’interpretazione fornita dalla Circolare del 30 ottobre 1997 del Ministero di Grazia e Giustizia sull’applicazione dell’accordo di Schengen, l’autorità competente a ricevere nel nostro Paese la richiesta di rogatoria dovrebbe continuare a dover esser ritenuta la Corte d’Appello in base alle disposizioni del nostro codice di procedura penale (art 724-726).
Si introduce lo scambio di informazioni spontaneo, dunque non provocato, fra le autorità competenti dei diversi Stati, con l’unico limite eventualmente imposto da quella che le invia in ordine al campo della loro utilizzabilità (art 7).
E’ prevista e disciplinata analiticamente, ove lo Stato richiesto disponga dei relativi mezzi, la possibilità di ascoltare un teste o un perito tramite video conferenza o conferenza telefonica, ove costoro non si oppongano, in tal modo consentendosi all’autorità procedente di condurre essa stessa l’esame.
Interessante anche la norma che prevede, nei casi in cui siano costituite squadre investigative comuni, la possibilità per i suoi componenti di partecipare ad atti indagini nel Paese straniero senza necessità di alcuna rogatoria, così come l’autorità giudiziaria di appartenenza potrà, conseguentemente, disporne di sua iniziativa sul proprio territorio senza necessità di alcuna formale richiesta da parte dell’omologa estera parimenti interessata alla stessa indagine (art 13).
Lo scambio temporaneo di detenuti è consentito anche quando sia l’autorità dello Stato richiedente ad aver bisogno che il “suo” detenuto si porti all’estero per l’esecuzione del suo atto di indagine.
La collaborazione fra gli Stati membri è estesa alle “consegne sorvegliate” nel quadro di indagini relative a reati passibili di estradizione ed all’attività di infiltrazione di agenti sotto false identità.
Nella materia delle intercettazioni, infine, si è cercato, proprio su proposta del nostro Paese, di snellire, o eliminare, le procedure di rogatoria.
E’ stata così esclusa la necessità di rogatoria alcuna quando si debba sottoporre ad intercettazione utenza di soggetto che si trovi sul territorio nazionale per il sol fatto che la stazione di ingresso si trovi su territorio di altro Stato membro (art 19).
Quando, invece, l’intercettazione sia possibile utilizzando gli strumenti tecnici esistenti sul territorio nazionale, ma l’intercettato si trovi, o si sia trasferito nel corso dell’intercettazione, nello Stato straniero, è previsto l’obbligo di comunicazione all’autorità di quest’ultimo che, entro 96 ore, potrà negare la prosecuzione una volta verificato che analogo atto di indagine non sarebbe ammesso dal suo ordinamento o consentire l’utilizzo dei riscontri secondo determinati limiti (art 20).
Quando, infine, l’esecuzione dell’intercettazione richieda l’ausilio delle apparecchiature dello Stato estero, occorrerà distinguere il caso in cui il soggetto da intercettare si trovi nel territorio nazionale, ed allora la rogatoria dovrà essere necessariamente accolta, da quello in cui costui si trovi o nel territorio dello Stato richiesto o in quello di terzo Stato membro, ipotesi per le quali la rogatoria potrà, per come detto, essere da questi ultimi negata per mancanza di analoga previsione interna o autorizzata con imposizione di limiti.
La Convenzione di Strasburgo del 1959, quella “madre” in tema di cooperazione, recentemente è stata oggetto di particolare attenzione a seguito delle modifiche apportate al codice di procedura penale dalla L n. 367/01.
Il nuovo primo comma dell’art 729 c.p.p. prevede ora che la violazione delle norme di cui all’art 696 del c.p.p. riguardanti l’acquisizione o la trasmissione di documenti o di altri mezzi di prova a seguito di rogatoria all’estero comporta l’inutilizzabilità dei documenti o dei mezzi di prova acquisiti o trasmessi.
All’art 696 del c.p.p. è stato previsto, fra tutte le altre convenzioni internazionali pur genericamente e complessivamente richiamate, il riferimento specifico alla sola di Strasburgo del 1959.
L’art 3 di questa, per come richiamato nei dibattimenti in corso alla data dell’innovazione normativa, prevede che la trasmissione dei documenti avvenga in copia munita di certificazione di conformità.
I giudici di merito prima, e la Sez I della Corte di Cassazione poi (nelle due pronunce n. 37774/02 e 34576/02), hanno posto in evidenza come la lettera di quell’articolo della Convenzione di Strasburgo dovesse essere correttamente interpretata a mente dell’art 31 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati (ratificata con la L n. 12/74) che, dettando norma di diritto internazionale generale, sancisce il principio per cui le norme convenzionali debbano essere ritenute nel senso suggerito dalle prassi interpretative ed applicative e ciò proprio in ragione della natura pattizia di tali disposizioni; essendo la prassi concordemente instauratasi quella della trasmissione dalla Svizzera all’Italia degli atti senza alcun attestato di loro conformità, ne deriva la validità di simile formalità, tenendosi altresì da conto il successivo art 17 della stessa Convenzione che nega la necessità di legalizzazione alcuna nella trasmissione degli atti e documenti.
Altra importantissima novità è stata istituita con la decisione del Consiglio dei ministri della giustizia e degli affari interni adottata il 28 febbraio 2002 relativa all’istituzione dell’ “Eurojust” per rafforzare la lotta contro le forme gravi di criminalità.
Tale organismo si affiancherà alla Rete Giudiziaria Europea nata il 29 giungo 1998.
E’ stato osservato che, mentre la Rete si è concretizzata nell’istituzione di meri punti informativi, in grado di fornire aiuto in ciascun Paese membro alle richieste di rogatoria, l’Eurojust rappresenta un organismo centrale con l’obiettivo di migliorare ancora l’assistenza giudiziaria ma anche, e qui sta la novità, di coordinare le indagini, e ciò in vista della futura istituzione del Pubblico Ministero europeo in grado di esercitare l’azione penale in determinate materie; il Libro Verde adottato dalla Commissione europea al riguardo la individua come obiettivo quanto meno nella materia della tutela delle finanze della comunità troppo notoriamente aggredite massicciamente da intenti fraudolenti.
Si è riconosciuta la natura prettamente giurisdizionale dell’organo (in tal senso questa estate il Presidente della Repubblica ha negato l’autorizzazione alla presentazione alle Camere del disegno di legge predisposto dal Governo che attribuiva al Ministero della Giustizia il potere di nomina del membro nazionale della struttura, piuttosto che al C.S.M. seppur nella forma del concerto già stabilito per le nomine dirigenziali), e ciò sia perché necessariamente composto da soggetti aventi titolo di magistrati del pubblico ministero, di giudici o di funzionari di polizia con pari prerogative (art 2) sia per la natura prettamente giurisdizionale delle funzioni attribuite all’organismo.
La Decisione del Consiglio rimanda ai singoli Stati di definire la natura e la portata dei poteri giudiziari conferiti al proprio membro nazionale sul proprio territorio, cui necessariamente spetterà il diritto di contattare direttamente le autorità competenti interne.
Tali poteri, ovviamente, saranno conformi a quelli conferiti all’organismo internazionale; allo stato, dunque, commisurati unicamente alla funzione di coordinamento delle indagini, di agevolazione nella trasmissione di informazioni e di rogatorie, ed alla possibilità di inoltrare alle autorità giudiziarie interne suggerimenti e stimoli in ordine all’inizio di indagini e al loro svolgimento mai per esse vincolanti (art 6).
Nel progetto della futura costituzione europea si prevede l’ampliamento di tali funzioni mediante il conferimento ad Eurojust anche del potere di prescrivere, in modo vincolante, l’esercizio dell’azione penale e di indicare, parimenti in modo vincolante, in quale Paese ciò debba esser fatto in concreto quando l’indagine abbia avuto risvolti trasfrontalieri.
E’ consentita altresì la nomina di corrispondenti nazionali, auspicata soprattutto in materia di terrorismo, al fine di meglio perseguire le finalità dell’istituzione e, possibilmente, di rappresentare essi stessi anche punti di contatto della Rete europea (art 12).
Si è pensato che, in Italia, tale ruolo possa esser riconosciuto alle Procure distrettuali antimafia a ciò non potendo ostate il sol fatto che l’ambito operativo di Eurojust è contenuto nelle materie della criminalità organizzata secondo forme previste in numero maggiore rispetto all’elencazione di cui all’art 51 comma 3 bis del nostro c.p.p., dell’ informatica, della frode, della corruzione e di qualsiasi altro reato che colpisca gli interessi finanziari della Comunità europea, del riciclaggio, della criminalità ambientale (art 4).
Riguardo la materia dell’estradizione la Convenzione del Consiglio d’Europa adottata a Parigi il 13.12.1957, integrata da alcune disposizioni della Convenzione di Schengen, è stata finalmente oggetto di intervento da parte del Consiglio dei ministri della Giustizia e degli Affari interni che, dietro l’iniziativa del Consiglio dell’U.E., in data 13 giungo 2002 ha approvato la decisione quadro n. 584 con la quale è stato istituito il c.d. “mandato di arresto europeo”. La decisione quadro, si ripete, è strumento con il quale è possibile assegnare ai Paesi membri un termine ben preciso di attuazione interna evitando in tal modo l’indefinito termine previsto per le Convenzioni; termine qui già scaduto alla data del 31 dicembre 2003.
E’ interessante premettere che già con la firma appostavi in Roma il 28 novembre 2000 l’Italia aveva convenuto con la Spagna il Trattato per il pieno riconoscimento dei provvedimenti giurisdizionali, anche quelli restrittivi della libertà personale, pronunciati per reati di terrorismo, criminalità organizzata, traffico di stupefacenti, traffico di armi, tratta di esseri umani, abusi sessuali nei confronti dei minori puniti con pena nel massimo non inferiore ai 4 anni nello Stato richiedente, un procedimento estremamente semplificato di consegna del soggetto richiesto senza l’avvio di alcun procedimento estradizionale, dunque impostato come mera esecuzione di un ordine di consegna.
I disegni di legge di attuazione del Trattato con la Spagna hanno confermato l’esclusione di qualsiasi interessamento dell’autorità ministeriale, la fissazione di tempi ristretti di esecuzione da parte dell’autorità giudiziaria dello Stato richiesto, la possibilità del ricorso per Cassazione.
Su questa stessa linea si pone la decisione quadro adottata dal Consiglio dei ministri europei per il mandato di arresto europeo.
Premesso che il campo di applicazione non è più limitato a poche tipologie di reato, parimenti si è stabilito l’automatico riconoscimento delle decisioni adottate dalle autorità giudiziarie degli altri Stati membri, la soppressione della fase politica oggi prevista per il procedimento di estradizione, il rapporto diretto fra le autorità giudiziarie, l’abolizione del principio della doppia incriminazione (ovvero della previsione del fatto come reato sia anche nello Stato richiesto) per i reati di cui ad apposita elencazione.
In linea con tale impostazione, il vaglio dell’autorità giudiziaria dello Stato di esecuzione è ridotto alla verifica della trasmissione di tutte le notizie necessarie alla cattura, del rispetto del ne bis in idem, dell’insussistenza di ragioni di immunità o di copertura di amnistia.
In considerazione del clima di reciproca elevata fiducia nei rispettivi ordinamenti che è, dichiaratamente nel preambolo, alla base della normativa, è stato escluso che tale vaglio debba estendersi ai principi fondamentali dello Stato richiesto; si è ritenuto sufficiente, invece, far richiamo al rispetto, cui tutti gli aderenti già sono tenuti, della Convenzione dei diritti dell’uomo del 1950 e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea
Il nostro Paese ha dichiarato che darà esecuzione alle richieste di consegna solo per i reati commessi dopo l’agosto del 2002 (la Francia, ad esempio, ha fatto riferimento all’anno 1993, data del trattato di Maastricht); per tutti i Paesi, comunque, il nuovo sistema varrà solo per le richieste fatte pervenire dal 1° gennaio 2004.
Mentre diversi altri Stati membri hanno già adottato la normativa interna di attuazione (tra i quali il Regno Unito, la Francia, Belgio, Danimarca, Irlanda, Filanda, Spagna, Svezia e Portogallo) sicché già si è potuto dare esecuzione in Spagna ad un mandato di arresto e consegna emesso dall’autorità giudiziaria svedese, nel nostro si è acceso un animato dibattito mosso da preoccupazioni in ordine al rispetto di principi costituzionali.
Si è denunciato che l’adozione della decisione quadro minaccerebbe il principio di legalità e ciò per la non definitiva elencazione dei reati oggetto del mandato di arresto europeo (stante l’abbattimento del principio della doppia incriminazione), quello dell’inviolabilità della libertà personale perché il mandato non è accompagnato dal termine massimo di privazione della libertà nel territorio che è chiamato ad eseguirlo, quello del fine rieducativo della pena perché non v’è garanzia che ad esso si ispirino anche gli ordinamenti degli altri Paesi aderenti.
Dall’altro lato si è replicato che è la stessa nostra Carta fondamentale (all’art 26) a costituzionalizzare le convenzioni internazionali che disciplinano l’estradizione; che l’elenco dei reati per i quali è prevista l’applicazione del mandato è sufficientemente specificata e che essa riguarda anche numerose ipotesi che già sono state oggetto di interventi di ravvicinamento ed armonizzazione fra le normative sostanziali interne così come auspicato dallo stesso trattato di Amsterdam (partecipazione ad organizzazione criminale, terrorismo, tratta di esseri umani, sfruttamento sessuale dei minori, traffico illecito di stupefacenti, traffico illecito di armi, corruzione, frode, riciclaggio, falsificazione e contraffazione dell’euro); che, d’altronde, è obiettivo primario dell’Unione quello di creare uno spazio comune di giustizia che si attua proprio, ed anche, con strumenti che consentano di evitare, tramite l’operato dell’istituzione sopranazionale, che illeciti rimangano impuniti nel suo ampio e complessivo territorio.
Né si ravvisa violazione della riserva di legge prevista dall’art 13 della Costituzione poiché la decisione quadro dovrà esser attuata giusto per legge.
Gli articoli 13 e 14 della decisione quadro, poi, prevedono che l’Autorità Giudiziaria richiesta si pronunci tanto in ordine alla permanenza in stato di detenzione del soggetto fermato quanto sulla consegna allo Stato richiedente ove costui neghi il suo consenso.
Così come pure non dovrebbe costituire violazione di alcun principio costituzionale il superamento del criterio della “doppia incriminabilità”, recepito dall’art 13 del nostro codice penale quale principio di carattere internazionale, come tale suscettibile, nel suo stesso ambito di origine, di esser sottoposto a mutamenti concordati dagli Stati sovrani.
Per il resto, si evidenzia come la decisione quadro non intenda minimamente privare il nostro legislatore del suo potere di disciplinare il rito, purché entro i limiti sostanziali caratterizzanti il vaglio che debba seguire l’autorità, necessariamente solo giurisdizionale, per procedere all’esecuzione.
E’ stata però richiamata l’attenzione sul fatto che il nostro legislatore, nel disciplinare i profili attuativi, non potrà non tener presente le linee fondamentali ed i principi caratteristici propri di ogni procedimento di estradizione, così come già in passato sempre correttamente intese (Eugenio Selvaggi).
Tra questi: quello che esclude ogni indagine circa la fondatezza dell’accusa mossa dall’autorità dello Stato richiedente al soggetto da catturare e consegnare e, dunque, la necessità della motivazione della richiesta di estradizione, a meno ciò non sia stato espressamente previsto dalla convenzione di estradizione; quello per cui non è necessario che vi sia coincidenza fra i presupposti per la privazione della libertà a fini estradizionali e quelli per l’arresto del soggetto in ipotesi di sua commissione del medesimo reato sul territorio nazionale (così Cass Sez IV del 28.1.97 riguardo l’art 2 del trattato di estradizione con gli Stati Uniti per il quale ha negato la fondatezza della questione di sua incostituzionale sol per il fatto che esso consente l’arresto anche per reati puniti nel massimo con pena inferiore a quanto previsto dall’art 280 c.p.p. riguardo l’applicabilità di misure cautelari).
Si paventa, altrimenti, il rischio di rendere l’estradizione fra il nostro e gli altri Paesi dell’Unione maggiormente difficoltosa che non verso gli altri Paesi ai quali ci stringe la convenzione di Parigi del 1957, fra i quali 45 Stati ve ne sono alcuni ben lontani, e non solo geograficamente, quali Israele, la Turchia, la Lituania.
Il legislatore italiano baderà al rispetto dell’art 111 della Costituzione prevedendo la ricorribilità per Cassazione dei provvedimenti di verifica sul mandato operato dalla Corte d’Appello e, possibilmente, ad assicurare tempi contenuti di permanenza dello stato di detenzione, riducendo i termini per la proposizione del ricorso per Cassazione così come già fatto nel disegno di legge attuativo del Trattato stipulato con la Spagna.

INTERVENTO del Prof. SCALESE
Ringrazio il dr. Sordi perché ci ha offerto una relazione chiarissima; ci ha fatto toccare con mano l’esperienza del Magistrato tanto sul versante del Diritto Civile che sul versante del Diritto Penale facendoci comprendere quali siano le problematiche che si incontrano quando il Giudice deve misurarsi con queste realtà transnazionali o comunque nazionali. Avrete notate dalle parole del dr. Sordi che c’è stata una intensa attività pattizia fra Italia e Spagna.Non so questo idillio continuerà:lo vedo un po’ incrinato e me ne dispiace perché, veramente con la Spagna si sono fatte tante belle. Mi viene in mente, quale internazionalista puro,il cd. Diritto di Visita che gli stati costieri possono esercitare in alto mare e che si limita solo ad una visita. Vi faccio un esempio drammatico: in generale, se una unità navale di una marina militare di uno Stato intercetta un mercantile che sta trasportando droga non può fare niente, lo deve salutare e basta, magari gli può fare una strombazzata di accompagnamento ma se ne deve andare, perché il diritto internazionale tutela non gli Stati ma la libertà dei mari e a questo principio si paga un prezzo del quale si avvalgono personaggi scomodi. Occorrerebbe che gli Stati ricorressero a dei meccanismi pattizi concedendo a ciascuna parte contraente il diritto di bloccare, di fermare e di arrestare i propri cittadini o le navi battenti la propria bandiera.E’ proprio quello che Italia e Spagna hanno fatto.Non mi risulta che la Spagna sia un paese che esporti sostanze stupefacenti ma è pur sempre un bel passo in avanti .
Da internazionalista puro,amante del Diritto Internazionale Pubblico di questa interessantissima relazione mi piace sottolineare ancora un aspetto,un bell’aspetto venuto fuori dalle parole del dr. Sordi e cioè come, a volte, il rispetto delle norme internazionali condizioni non solo gli operatori che le devono applicare concretamente, ma lo stesso legislatore. E il riferimento al nostro governo che non aveva fatto bene i conti con le regole per la interpretazione dei trattati fissati con la Convenzione di Vienna del 1969, ci fa capire che anche chi governa e chi fa leleggi,forse,farebbe bene a conoscere il Diritto Internazionale:avremo risultati migliori nella nostra vita politica. E come si dice nel mondo dello spettacolo ”last but not list” cedo finalmente la parola al dr. Lotito.Ho apprezzato molto questo fast plade fra magistrati e mi convince che è bene non esagerare con le separazioni di questi magistrati: quando vogliono sanno lavorare benissimo insieme.

Dr. LUIGI LOTITO
Magistrato in Sora.

Introduzione
Qualsiasi azione giudiziaria, per essere svolta utilmente, deve essere sostenuta da prove.
Un’azione in giudizio contro un terzo può essere giustificata ma ciò può non essere sufficiente per la definizione favorevole della controversia, perché la controparte può contestare i fatti sui quali si basa il diritto fatto valere; risulta essenziale far acquisire le prove necessarie a sostegno della propria pretesa.
L’art. 2697 c.c., inserito nel libro VI del codice civile, intitolato non per caso “Della tutela dei diritti”, sull’onere della prova, recita: “Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda”.
Il principio dell’onere della prova è una regola residuale di giudizio, atteso che, nel nostro ordinamento processuale, accanto a tale principio, vige quello della c.d. acquisizione probatoria, secondo cui le risultanze istruttorie, comunque acquisite, concorrono, tutte ed indistintamente, alla formazione del libero convincimento del giudice (cfr. Cass. civ., sez. III, 16 giugno 1998, n. 5980).
L’assunzione delle prove può operarsi attraverso fonti e modalità diverse.
In taluni casi, è possibile fornire la prova producendo un documento, come nel caso occorra dimostrare il pagamento di un debito (ad es. produzione della quietanza).
In mancanza di prove documentali (cd. prove precostituite), può essere necessario acquisire la testimonianza di persone che possono dichiarare quanto accaduto sotto la diretta percezione dei loro sensi o riferire quanto appreso da altri soggetti.
In altri casi, si renderà indispensabile far ricorso all’opera di soggetti versati in una particolare disciplina, ad esempio quando si tratta di determinare l'entità esatta del pregiudizio subito in una controversia di risarcimento del danno (in alcuni casi, il c.t.u. può acquisire elementi probatori per dare risposta al quesito posto: cfr. Cass. civ., sez. I, 9 febbraio 1999, n. 1100; sez. II, 3 febbraio 1993, n. 1318).
All’occorrenza, il giudice non si limita soltanto a valutare le prove sottopostegli, ma può recarsi anche nel luogo in cui è avvenuto il fatto (ad esempio, in caso d’incidente).
Nell’ambito dell’Unione Europea, in tutti gli ordinamenti nazionali degli stati membri sono previste norme relative all’assunzione delle prove, dirette ad assicurare che il giudice possa ricostruire quanto più precisamente possibile gli eventi relativi ad una controversia; la prova è, infatti, strumento di conoscenza di un fatto, utilizzato dal giudice per decidere una lite.
Le differenze tra le normative nazionali riguardano i mezzi di prova ammessi, la procedura da seguire, l’onere della prova e la valutazione delle prove da parte dell’autorità giudiziaria.Il regolamento n. 1206/2001 del Consiglio del 28 maggio 2001.
Qualora le prove debbano essere reperite in uno Stato membro diverso da quello di residenza, le procedure applicabili a partire dal 2004 sono stabilite in un regolamento comunitario: si tratta del regolamento n. 1206/2001 del Consiglio del 28 maggio 2001, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale delle Comunità europee L 174 del 27 giugno 2001, ulteriore tessera del mosaico del diritto processuale europeo, formato non soltanto da regole uniformi in materia di competenza e riconoscimento delle sentenze (estese alla materia matrimoniale ed alla responsabilità dei genitori sui figli), ma anche in tema di notificazioni e di procedure d’insolvenza.
Il regolamento - a differenza della direttiva, vincolante per lo Stato membro cui è rivolta in ordine al risultato da raggiungere, pur lasciando alle autorità nazionali un ambito di manovra quanto alla forma e ai mezzi atti a conseguirlo, con necessità di essere recepita nell’ordinamento giuridico nazionale, e della decisione, obbligatoria in tutti i suoi elementi e vincolante nei confronti dei destinatari espressamente indicati - è obbligatorio in tutti i suoi elementi ed è direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri.
L’adozione del regolamento n. 1206/2001 si inserisce nell’ambito di quei provvedimenti necessari alla progressiva istituzione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, prevista dall’art. 61 del trattato.
Tale istituzione esige l’emanazione di provvedimenti necessari al corretto funzionamento del mercato interno, agevolato dalla semplificazione e dall’accelerazione della cooperazione delle autorità giudiziarie in materia civile, in particolare nel settore dell’assunzione dei mezzi di prova (cfr. art. 65 del trattato).
L’obbiettivo del regolamento è di fissare delle procedure che consentano di migliorare, semplificare e accelerare la cooperazione tra gli Stati membri nell’ambito dell’assunzione delle prove in materia civile e commerciale, cercando di superare le difficoltà ed i ritardi provocati dalle diversità dei sistemi giudiziari nazionali e linguistiche; si tratta di snellire le formalità necessarie per l’assunzione delle prove nelle cause transfrontaliere, al fine di facilitare l’accesso di tutti i cittadini europei ad una giustizia efficace e rapida, offrendo una soluzione pratica a quei problemi che si pongono quando, per decidere una questione civile o commerciale pendente dinanzi ad un’autorità giudiziaria di uno Stato membro, sia necessario assumere prove in un altro Stato membro (in una controversia transnazionale potrebbe, ad esempio, essere necessario ascoltare la testimonianza di persone in un altro Stato membro, oppure il giudice potrebbe dover recarsi sui luoghi in cui il fatto è avvenuto, che si trova in un altro Stato membro).
Va rilevato che, a differenza di altri strumenti legislativi approvati in materia di cooperazione giudiziaria civile, l’applicazione del regolamento n. 1206/2001 è stata differita al 1° gennaio 2004 (fatta eccezione per gli obblighi di informazione e comunicazione relativi agli organi decentrati competenti per l’invio e la ricezione delle richieste di rogatoria ed in ordine agli aspetti linguistici). La ragione di tale vacatio legis può forse rinvenirsi nella circostanza che alcuni degli Stati membri non erano vincolati da strumenti convenzionali in materia di assunzione di prove all’estero e nella necessità di garantire a tutti i Paesi comunitari un congruo periodo di transizione verso il nuovo regime integrato di assistenza giudiziaria internazionale.
Differenze e rapporto con la Convenzione dell’Aja del 18 marzo 1970.
Prima che fosse adottato il citato regolamento, la materia dell’assunzione delle prove all’estero in materia civile e commerciale era disciplinata dalla convenzione adottata all’Aja il 18 marzo 1970, resa esecutiva in Italia con legge 24 ottobre 1980, n. 745.
La Convenzione dell’Aia del 1970 sull'assunzione delle prove all'estero in materia civile o commerciale prevedeva un sistema di trasmissione delle richieste di assunzione delle prove per il tramite delle autorità centrali, designate da ciascuno degli Stati contraenti.
Nell’ambito di questo sistema, le richieste di assunzione delle prove erano trasmesse dall’autorità competente dello Stato di residenza all’autorità centrale designata dal paese terzo, che le trasmetteva all’autorità giudiziaria competente, affinché procedesse.
La convenzione non impediva agli Stati contraenti di autorizzare altri mezzi di assunzione delle prove diversi da quelli previsti dalla convenzione.
In virtù della Convenzione dell’Aia, un’autorità giudiziaria di uno Stato contraente poteva chiedere all’autorità competente di altro Stato contraente di assumere delle prove.
Per tutti gli Stati membri dell’UE, eccezion fatta per la Danimarca, la convenzione dell’Aia è stata sostituita, a partire dal 2004, dal regolamento citato, relativo alla cooperazione fra le autorità giudiziarie degli Stati membri nel settore civile e commerciale.
Il regolamento costituisce uno sviluppo della Convenzione dell’Aia del 1970, già applicabile soltanto tra undici Stati membri dell’Unione Europea, e detta regole uniformi su tutto il territorio europeo, senza impedire che i paesi membri concludano o lascino in vigore accordi o intese compatibili con le disposizioni del regolamento, diretti a snellire o a semplificare maggiormente le richieste di compimento di atti giudiziari .
L’art. 21 prevede espressamente che, nella materia rientrante nel suo ambito di applicazione, il regolamento prevale sulle disposizioni contenute negli accordi o intese conclusi dagli Stati membri e, in particolare, nella Convenzione dell’Aja del 1° marzo 1954, concernente la procedura civile, e nella Convenzione dell’Aja del 18 marzo 1970, sull’assunzione delle prove all’estero in materia civile e commerciale.
Rispetto alla disciplina già in vigore, il regolamento mira a semplificare i rapporti tra le autorità dello Stato richiedente e di quello richiesto, usufruendo del principio del decentramento delle autorità competenti e dell’utilizzo di formulari uniformi, analogamente a quanto previsto dal regolamento sulle notifiche.
A differenza della precedente convenzione, si registra la possibilità di assunzione diretta delle prove da parte dell’autorità giudiziaria richiedente.
Tale possibilità è prevista in luogo del procedimento di assunzione delle prove da parte di agenti diplomatici o consolari o da parte di commissari, di cui agli artt. 15-22 della Convenzione dell’Aja (cui si poteva far ricorso, purché non fosse stata formulata dichiarazione di riserva ex art. 33 della Convenzione).
Tale novità potrebbe, tuttavia, assumere una limitata incidenza da un punto di vista pratico, atteso che la facoltà di assunzione diretta è sottoposta a condizioni piuttosto limitative.
Infatti, da un lato, è necessario l’accoglimento della richiesta da parte dell’autorità competente dello Stato richiesto, la quale deve rispondere entro 30 giorni e può rifiutare l’accoglimento quando la richiesta esuli dalla materia civile e commerciale ovvero sia formalmente incompleta o ancora sia in conflitto con principi fondamentali dello Stato richiesto.
Dall’altro, la richiesta di assunzione diretta potrà essere ammissibile soltanto su base volontaria e senza necessità di misure coercitive, con obbligo dell’autorità richiedente di informare la persona che deve essere ascoltata della circostanza che il procedimento ha luogo su base volontaria (art. 17 del regolamento).
La possibilità di assunzione diretta delle prove si dispiega anche con riferimento ad eventuali periti designati in conformità della legge dello Stato membro dell'autorità richiedente (art. 17, comma 3). Pertanto, ferma restando l’impossibilità di far ricorso a mezzi coercitivi, al fine di assicurare che l’assunzione diretta avvenga volontariamente, le attività peritali potranno svolgersi in qualsiasi Stato membro diverso da quello dell’autorità procedente, dopo che sia stata ottenuta la necessaria autorizzazione dall’autorità dello Stato richiesto.
Rispetto alla Convenzione dell'Aja, in considerazione del differente ambito territoriale, non si configura la problematica delle riserve e delle conseguenti difformità di disciplina, in particolare per ciò che riguardava la clausola di cui all’art. 23 della Convenzione, che consentiva agli Stati aderenti di sottrarsi all’obbligo di dar seguito a richieste istruttorie aventi come oggetto la pre-trial discovery of documents, particolare strumento probatorio della Common law, che consente di conoscere, entro certi limiti, le prove in possesso dell’altra parte prima dell’inizio del processo.
Sempre nell’ottica di una comparazione con la disciplina della Convenzione dell’Aja, è probabile che si proponga nuovamente, in sede di applicazione del regolamento citato, la tesi della facoltatività del ricorso alle procedure di cooperazione giudiziaria, già formatasi con riferimento alla disciplina convenzionale.
L’art. 1 del regolamento sembra, infatti, attribuire alla legge del luogo del giudice richiedente la individuazione delle ipotesi in cui è necessaria la richiesta all’autorità di un altro Stato membro, affinché proceda all’assunzione di prove, e di quelle in cui l’istanza istruttoria possa essere eseguita secondo le procedure previste dalla normativa interna.
Sommaria analisi delle disposizioni del regolamento.
Analizzando brevemente le altre previsioni normative del regolamento, questo trova applicazione in materia civile e commerciale, quando l’autorità giudiziaria di uno Stato membro chiede all’autorità giudiziaria competente di un altro Stato membro di compiere un atto, oppure di procedere direttamente all’assunzione delle prove (art. 1).
Secondo quanto già previsto dalla Convenzione dell’Aja, non può essere richiesta l’assunzione di prove che non siano destinate ad essere utilizzate in un procedimento pendente o previsto dinanzi al giudice richiedente (art. 2 del regolamento).
E’ possibile, quindi, far eseguire all’estero, attraverso le procedure del regolamento, i provvedimenti istruttori assunti nell’ambito di procedimenti aventi natura e struttura cautelare.
Il riferimento alla previsione, e non soltanto alla pendenza in atto del giudizio di merito, permetterà di avvalersi dell’assistenza giudiziaria internazionale anche per l’assunzione delle misure di istruzione preventiva o di sequestro giudiziario probatorio.
Di norma, le richieste devono essere trasmesse direttamente dal giudice richiedente al giudice richiesto; per semplificare tale comunicazione diretta tra le autorità giudiziarie, ciascuno Stato membro ha predisposto un elenco di autorità giudiziarie competenti per l’assunzione delle prove.
Ciascuno Stato membro ha designato un’autorità centrale o, in alcuni casi, più autorità centrali, incaricata di fornire informazioni ai giudici, di trovare soluzioni per le difficoltà che possono sorgere in occasione di una richiesta e di trasmettere, in casi eccezionali, una richiesta al giudice competente (art. 3 del regolamento).
Quanto alla forma e al contenuto della richiesta, questa va presentata secondo quanto previsto nel formulario allegato, deve necessariamente contenere alcune indicazioni (nome e indirizzo delle parti, la natura e l’oggetto dell’istanza, l’atto di istruzione richiesto) e deve essere redatta nella lingua o in una delle lingue ufficiali dello Stato membro dei giudice richiesto, ovvero in un’altra lingua che lo Stato membro richiesto abbia dichiarato di accettare (artt. 4 e 5 del regolamento).
Il regolamento prevede modalità precise di ricezione della richiesta (invio di una conferma di ricezione, procedimento da seguire in caso di richiesta incompleta, comunicazione del ritardo qualora il giudice richiesto non sia in grado di dar seguito alla richiesta entro 90 giorni dalla sua ricezione: cfr. artt. 7, 8 e 15 del regolamento).
Per evitare ritardi nella fase dell’istruzione probatoria svolta all’estero, la richiesta e ogni altra comunicazione possono essere trasmesse dallo Stato richiedente con il mezzo più rapido e devono essere eseguite al più tardi entro novanta giorni dalla loro ricezione dallo Stato richiesto.
Per quanto riguarda l’esecuzione delle richieste, il giudice richiesto vi procede, applicando la legislazione del proprio paese.
Il giudice richiedente può domandare che la richiesta sia eseguita secondo una procedura particolare (compresa la registrazione audio e video e la relativa trascrizione); il giudice richiesto accoglie tale richiesta, purché non ostino motivi di natura giuridica o di ordine pratico (art. 10 del regolamento).
L’esecuzione di una richiesta può essere rifiutata, tra l’altro, nel caso in cui la richiesta non sia compresa nell’ambito di applicazione del regolamento; quando l’esecuzione della richiesta non rientra nelle attribuzioni del potere giudiziario; se la richiesta non è completa, ovvero se la persona oggetto di una richiesta di audizione fa valere un diritto o invoca un obbligo di astenersi dal deporre (art. 14 del regolamento).
In caso di rifiuto dell’esecuzione, il giudice richiesto deve informare il giudice richiedente entro 60 giorni dalla ricezione della richiesta per mezzo del formulario (tipo H), allegato al regolamento.
Va, inoltre, segnalato che i delegati dell’autorità giudiziaria richiedente, ove compatibile con la legge dello Stato membro della medesima autorità, e le parti, se previsto dalla legge dello Stato membro dell’autorità giudiziaria richiesta, hanno facoltà di essere presenti all’istruzione probatoria assunta dall’autorità giudiziaria richiesta, sia assistendo personalmente quest’ultima, sia ricorrendo alle tecnologie di comunicazione moderne, in particolare alla videoconferenza (artt. 11 e 12 del regolamento).
In seguito all’esecuzione della richiesta, il giudice richiesto ne informa il giudice richiedente, trasmettendo gli atti comprovanti tale esecuzione (art. 16 del regolamento).
L’esecuzione delle richieste non può dare luogo al rimborso di tasse o spese, ad eccezione del rimborso delle spese risultanti dall’applicazione di una particolare procedura richiesta dal giudice richiedente (art. 18 del regolamento).
Gli Stati membri comunicano alla Commissione, entro il 1° luglio 2003, ogni informazione utile ad assicurare l’attuazione del regolamento (elenco dei giudici competenti o degli organi riceventi, il nome e l'indirizzo dell'autorità centrale, i mezzi tecnici per la ricezione delle richieste, le lingue che possono essere utilizzate per la formulazione della richiesta; art. 22 del regolamento).
La Commissione pubblica e aggiorna un manuale (disponibile anche in versione elettronica) contenente tutte le suddette informazioni; la Commissione è assistita da un Comitato (art. 19 e 20 del regolamento).
Entro il 1° gennaio 2007 e, successivamente, ogni cinque anni, è prevista una prima valutazione relativa all’applicazione del regolamento negli ordinamenti giuridici nazionali, in occasione della presentazione, da parte della Commissione, di una relazione al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato economico e sociale (art. 23 del regolamento).Per un rapido reperimento delle fonti normative: http://europa.eu.int./eur-lex/it

INTERVENTO del Prof. SCALESE
Devo dire che a Sora siete davvero fortunati perché i Magistrati del Vostro Tribunale non scherzano mica! Non possiamo che ringraziare il dr. Lotito per la sua chiarissima esposizione. Essa ci conferma i problemi di coordinamento che sorgono fra paesi europei e non solo. Non vi dimenticate che c’è un altro scenario al di fuori dell’Europa, si tratta di regioni del mondo invero che da un punto di vista commerciale ci possono interessare anche moltissimo. Pensiamo ai rapporti con la Cina che è anche un serissimo partner commerciale. Pensiamo ancora ai paesi dell’est. I problemi insomma, ci sono e sono tanti. Io ritengo che siamo soltanto agli inizi. Vedete,gli italiani andavano in Germania - paese di antica immigrazione - sempre con quella valigia di cartone. Io ho il pallino per le stime: è stato dimostrato che la seconda branca del Diritto con il contenzioso più alto è il Diritto Internazionale Privato. Ripeto, la seconda branca del diritto con il contenzioso più alto è il Diritto Internazionale Privato. E sì, perché, pensate, oggi abbiamo flussi migratori di povere persone, spesso disperate,che vengono a svolgere lavori umili quali la badante, la collaboratrice domestica, il lavoro nei campi e così via. Poi casomai sapete queste persone fanno fortuna, qualcuno intenta qualche attività commerciale, comunque si sposano,e, ahimè, cominciano anche a morire. Problemi successori. Quindi noi siamo seduti su una bomba ad orologeria che scoppierà con grande fragore e saremo non noi che seguiamo da qui, non noi che siamo qui oggi, ma gli altri saranno molto impreparati. E’ stato bello essere qui, insieme; io ho imparato molte cose da questi eccellenti relatori. Sarebbe previsto un dibattito, però l’ora è tarda e c’è una cena che ci aspetta preannunciata quasi come una minaccia. Vi avevo detto che avremmo sollevato molti interrogativi ma date poche risposte. Anzi non ne diamo proprio, perchè ci sentiamo - qui mi permetto “una negotiorum gestio” anche a nome dei relatori - già soddisfatti di aver incrinato le vostre credenze e di avervi insinuato il tarlo del dubbio, su che cos’è il Diritto Internazionale.
Ringrazio l’avv. Marsella, ringrazio l’Associazione Giuristi “ Marco Tullio Cicerone” e… alla prossima. Grazie!